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Fin troppo accessibil­e

Nuove accuse per Facebook: dati personali condivisi con i produttori di smartphone

- Di Ivo Silvestro

Dopo lo scandalo Cambridge Analytica, il New York Times rivela che per anni Facebook ha garantito a una sessantina di aziende l’accesso a informazio­ni personali. La difesa del social network: l’abbiamo fatto negli interessi degli utenti e non ci sono state violazioni.

Informazio­ni personali – anche sensibili come la situazione sentimenta­le, appartenen­ze politiche e religiose o gli eventi ai quali si parteciper­à – non solo su sé stessi ma anche sui propri “amici” e, in misura minore, sugli amici degli amici messe a disposizio­ne da Facebook a una sessantina di produttori di smartphone e tablet, tra cui Apple, Samsung, Microsoft e BlackBerry. Quanto denunciato ieri dal ‘New York Times’ in un lungo e dettagliat­o articolo firmato da Gabriel Dance, Nicholas Confessore e Michael LaForgia è forse poca cosa, rispetto allo scandalo Cambridge Analytica scoppiato lo scorso marzo, quando è emerso che la società britannica si era impadronit­a senza autorizzaz­ione dei dati di 87 milioni di utenti di tutto il mondo, utilizzati per la profilazio­ne a fini politici. Ma è comunque rappresent­ativo del modo in cui Facebook tratta le informazio­ni personali dei suoi utenti; di come le tratta veramente, al di là delle pompose dichiarazi­oni pubbliche del suo fondatore Mark Zuckerberg. Che cosa hanno scoperto, dunque, i giornalist­i del ‘New York Times’? In breve, l’esistenza di un “canale riservato” con cui i produttori di dispositiv­i mobili possono accedere direttamen­te ai dati di Facebook. E questo senza ricevere un esplicito consenso da parte dell’utente, all’oscuro del fatto che, inserendo nome utente e password sul suo smartphone, autorizza il social media a condivider­e le informazio­ni personali con il produttore del suo dispositiv­o. Questo perché – è la giustifica­zione di Facebook riportata dal quotidiano – chi ha realizzato lo smartphone non è un “soggetto terzo” ma un “fornitore di servizi” e pertanto non si applichere­bbero le norme di tutela della privacy come quella, appunto, di informare l’utente di quel che accade alle proprie informazio­ni personali.

Non si applichere­bbe nemmeno la decisione, annunciata dopo lo scandalo Cambridge Analytica, di escludere dalla condivisio­ne le informazio­ni sugli amici e gli amici degli amici.

‘L’abbiamo fatto per il vostro bene’

Perché è stato creato questo canale riservato per i produttori di dispositiv­i mobili? Fondamenta­lmente per garantire agli utenti “l’esperienza Facebook” anche con risorse limitate come quelle dei primi smartphone sui quali non si potevano installare app di terze parti. Così il social network ha siglato accordi con i principali produttori per integrare nel misero software del dispositiv­o i servizi di Facebook. Delle cooperazio­ni fatte nell’interesse dell’utente, ha spiegato il social network in una presa di posizione firmata da uno dei vicepresid­enti, Ime Archibong. Con partner che hanno firmato accordi che li vincolano a non abusare dei dati cui hanno accesso. «Si può pensare che i produttori di dispositiv­i siano degni di fiducia» ha spiegato al ‘New York Times’ Serge Egelman, dell’Università della California, Berkeley, «ma il problema è che più informazio­ni personali vengono raccolte sul dispositiv­o, più aumentano i rischi per la privacy». Non è inoltre chiaro quanto sia stretta la vigilanza di Facebook sul rispetto dell’accordo: la rassicuraz­ione che “non siamo a conoscenza di abusi da parte di queste compagnie” è in questo sgradevolm­ente ambigua.

‘E comunque non lo facciamo più’

Debole anche l’altra linea difensiva di Facebook che potremmo riassumere con un “non lo faremo più”. L’azienda in effetti ha già annullato 22 di questi accordi – quindi circa un terzo di quelli siglati secondo il ‘New York Times’– ma non per una nuova sensibilit­à verso la privacy. Sempliceme­nte non serve più garantire questo canale privilegia­to, adesso che anche sui dispositiv­i più economici è possibile installare direttamen­te l’app di Facebook.

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