L’amico del mio amico è mio
Precisazioni e minimizzazioni, nella presa di posizione di Facebook sulle rivelazioni del ‘New York Times’. Solo in una occasione il vicepresidente Archibong smentisce il quotidiano statunitense: “Contrariamente alle affermazioni del ‘New York Times’ – si legge nel comunicato –, le informazioni degli amici, come le foto, erano accessibili sul dispositivo solo quando le persone decidevano di condividere le proprie informazioni con quegli amici”. Eppure sul punto l’articolo è molto dettagliato. Procuratosi un BlackBerry Z10 – modello uscito nel 2013 ma ancora in commercio – il giornalista Michael LaForgia ha inserito nello smartphone il proprio nome utente e la propria password di Facebook. Il telefono non solo ha scaricato le sue informazioni personali – senza avvisarlo che l’azienda canadese produttrice dello smartphone aveva adesso accesso a quei dati – ma si è anche collegato alle informazioni di 556 amici di LaForgia, dati personali tra cui date di nascita, situazioni sentimentali, opinioni politiche e religiose. Non solo: il BlackBerry di LaForgia aveva anche accesso ad alcune informazioni riguardanti gli oltre 294mila “amici degli amici” di LaForgia. È come installare una serratura e scoprire che il fabbro ha dato una copia delle chiavi a tutti i suoi amici che possono venire a frugare tra le tue cose” ha spiegato l’esperto di sicurezza Ashkan Soltani.
Le aziende rispondono
Un portavoce di BlackBerry ha spiegato che l’azienda usa quelle informazioni unicamente per garantire all’utente l’accesso alla propria rete di contatti su Facebook: “La nostra attività riguarda la tutela delle informazioni dei nostri utenti, non la loro monetizzazione”. Risposte simili da parte di Apple – che dallo scorso settembre non ha più questo “canale riservato” – e Microsoft che ha precisato di non aver mai copiato sui propri server le informazioni prese da Facebook. Per contro Samsung e Amazon non hanno risposto alle domande dei cronisti del ‘New York Times’.