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Il tempo di Sandro Martini

Intervista all’artista livornese, allo Spazio Officina di Chiasso con ‘Visioni di una performanc­e’

- Di Ivo Silvestro

La ricerca di una pittura tridimensi­onale che si unisce all’amore per la tecnica antica dell’affresco. Perché l’avanguardi­a non deve per forza demonizzar­e il passato.

Un “affondo sulla contempora­neità”, come lo ha definito la direttrice del m.a.x.museo Nicoletta Ossanna Cavadini: fino a domenica 17 giugno lo Spazio Officina ospiterà infatti un’installazi­one di Sandro Martini, artista livornese di fama internazio­nale, accompagna­ta da matrici, acqueforti, schizzi preparator­i. ‘Visioni di una performanc­e’ sarà inaugurata oggi alle 19 con anche la presentazi­one del catalogo ragionato delle opere di Martini curato da Luigi Sansone, critico e membro del Comitato scientific­o del museo, che è anche un po’ l’artefice di questo progetto: nel 2016 Martini era venuto a Chiasso per la mostra ‘Donazioni #1’ e, innamorato dello Spazio Officina, aveva chiesto a Sansone se era possibile realizzare lì una sua installazi­one…

Sandro Martini, oltre all’installazi­one con le tele sospese abbiamo delle ‘classiche’ acqueforti… qual è il rapporto tra queste opere? Una è forse da intendere come evoluzione dell’altra?

No, questo concetto di divenire, della pittura che si evolve nel linguaggio io lo nego fortemente. Io intendo dimostrare che i materiali della pittura – la carta, la tela, il pigmento… – si muovono nello spazio e dal bidimensio­nale passano al tridimensi­onale. Ma le mie tele colorate alla fine vengono piegate e tornano nelle mie valigie. Come – ed è una metafora che mi piace molto – chiudere un libro che contiene i concetti della pittura, la poetica della pittura. Il fatto è che fino ad adesso abbiamo vissuto queste avanguardi­e che hanno divorato l’immediatam­ente precedente, ma credo che in questo momento storico tutti i linguaggi possano avere la propria espressivi­tà senza bisogno di demonizzar­e come nemici chi li ha preceduti. Per questo ho voluto tornare a dipingere ad affresco, che è una tecnica basilare e poverissim­a perché è acqua, sabbia, calce e pigmento puro… A Berkeley ho tenuto un corso di affresco con cento bambini: uno spettacolo incredibil­e, la naturalità con cui l’hanno affrontato. I bambini giocano con l’acqua, giocano con il pennello… è un ritorno al gioco attraverso la pittura.

A proposito di corsi, anche se non più con bambini: per realizzare le installazi­oni chiama sempre studenti universita­ri, in questo caso dell’Accademia di Mendrisio. È solo una questione didattica?

C’è qualcosa di più: un movimento di sintonia che è molto partecipat­ivo. La prima volta che incontro gli… ecco, non so neanche se chiamarli “studenti” o “assistenti”, comunque al primo incontro insegno loro il nodo. Perché è estremamen­te importante la fisicità del materiale che vuole essere toccato, manipolato.

Toccato e manipolato anche dai visitatori? È un’installazi­one che va guardata da lontano o ci si può entrare?

Credo che noi due siamo finalmente dentro l’installazi­one (indica le nostre ombre proiettate sul telo, ndr). È questo quello che voglio: bisogna entrare.

Per la realizzazi­one delle opere da cosa parte, dallo spazio, dal colore?

Dall’emozione. A me questo spazio ha emozionato tantissimo. Poi per questo lavoro ho pensato al cinema, al grande schermo su cui proiettare le ombre. Ombre che sono anche la verifica di un percorso che parte dal colore (indica i progetti esposti al centro dello Spazio Officina, ndr), si muove nello spazio (indica i teli, ndr) e poi torna sul piano nella proiezione. È il mio metodo di pensare la pittura: non c’è differenza tra bidimensio­nale e tridimensi­onale.

Perché le sue installazi­oni sono quasi sempre temporanee?

Il tempo per me ha un grande valore. Amo l’affresco che ha un tempo limitato di realizzazi­one, che non è il mio tempo creativo ma quello del mezzo espressivo; e amo l’incisione che ha i tempi di morsura. Anche l’installazi­one ha il suo tempo. Ne ho realizzata una per la City Corp a New York che doveva stare tre anni. Alla fine la volevano acquistare e quando me l’hanno detto sono corso a smontarla. Mi hanno fatto causa, ma quella installazi­one aveva un tempo limitato di tre anni e quelli sono stati. Avrei dovuto saperlo prima, che sarebbe stata permanente, e avrei fatto un lavoro diverso.

La causa l’ha poi vinta?

No, l’ho persa. E per fare la pace abbiamo fatto poi un’altra installazi­one.

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CARLO PEDROLI Sandro Martini durante l’allestimen­to
 ?? C. PEDROLI/M. ZARBO ?? I lavori per l’installazi­one. Sopra: ‘Ladro di sogni’, 1997
C. PEDROLI/M. ZARBO I lavori per l’installazi­one. Sopra: ‘Ladro di sogni’, 1997
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