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Dopo vent’anni l’Etiopia propone la pace all’Eritrea

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Addis Abeba – A vent’anni dalla guerra, una parola di “pace”. L’Etiopia ha annunciato di essere pronta a mettere fine al conflitto di frontiera con l’Eritrea. Purché, naturalmen­te, anche Asmara accetti senza condizioni l’accordo firmato ad Algeri nel 2000 e mai entrato in vigore. La notizia segue di pochi giorni la decisione del primo ministro etiopico Abiy Ahmed (e ratificata ieri dal parlamento) di abolire lo stato di emergenza imposto in febbraio nel pieno di gravi tensioni politiche e manifestaz­ioni popolari molto partecipat­e. La volontà di tornare alla normalità nei rapporti tra i due Stati confinanti del Corno d’Africa era stata espressa da Abiy Ahmed già al proprio insediamen­to, il 2 aprile, per mettere fine a un conflitto considerat­o una delle ultime avvelenate eredità dell’epoca coloniale. Trattati sui confini dei due territori erano stati firmati dall’Italia (che ne aveva fatto una propria colonia dal 1889 al 1941), dalla Gran Bretagna (occupante dal 1941 al 1952) e dall’Etiopia, in tre date diverse: nel luglio 1890, nel maggio 1902 e nel maggio 1906. La guerra scoppiò nel giugno 1998 e durò circa due anni, apparentem­ente solo per una contesa territoria­le di piccole aree ma in realtà per il contrasto tra il disegno etiopico di garantirsi uno sbocco sul Mar Rosso e quello eritreo di raggiunger­e una vera indipenden­za economica. Nel dicembre 2000, dopo la morte di una cifra compresa tra 70 e centomila uomini di entrambi i Paesi, il presidente eritreo Isaias Afewerki ed il primo ministro etiope allora in carica, Meles Zenawi, firmarono ad Algeri un accordo di pace, mediato dal presidente algerino Abdelaziz Bouteflika. L’Etiopia tuttavia mantenne un presidio militare, ancor oggi presente, nel territorio di Badme, area assegnata all’Eritrea nel 2002 da una commission­e internazio­nale nominata dall’Onu. A motivare la svolta di Addis Abeba sembra essere la volontà del primo ministro – per la prima volta espresso dalla maggioranz­a etnica degli Oromo, rispetto ai predecesso­ri tigrini – di privilegia­re la stabilità dell’Etiopia, affetta da serie difficoltà economiche: un pesante debito estero e la scarsità di investimen­ti stranieri, oltre alla presenza di centinaia di migliaia di profughi eritrei e sudanesi. Ora si attende che Asmara si esprima sulla proposta etiopica. Accusata più volte dagli organismi internazio­nali di violazioni dei diritti umani, e sotto osservazio­ne per le condizioni di vita che negli ultimi anni hanno indotto alla fuga migliaia dei suoi oltre cinque milioni di abitanti, l’Eritrea sembra avere poche possibilit­à di rifiutarla. Non che Afewerki se ne sia curato sinora...

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