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‘La scuola che vorrei’

Bixio Caprara, presidente Plr, a pochi giorni dal dibattito nel ‘parlamenti­no’ liberale radicale

- Di Aldo Bertagni

Il Plr si attende una riforma capace di valorizzar­e i singoli allievi, partendo dalle specifiche potenziali­tà. E su questo parte il confronto.

“Dove gli scolari annoiati come me hanno potuto conoscere la potenza generativa della scuola, al di là dei suoi effetti di assoggetta­mento e di uniformazi­one? La risposta è una sola: a lezione, durante l’ora di lezione”. Così scrive Massimo Recalcati in ‘L’ora di lezione’. Ma cosa dev’essere la scuola dell’obbligo ticinese, oggi sottoposta a riforma? «Un luogo dove si valorizzan­o le qualità di ognuno. Perché bisogna dirlo: non siamo tutti uguali» risponde senza esitare Bixio Caprara, presidente del Plr che settimana prossima (giovedì 14) affronterà in Comitato cantonale la sperimenta­zione approvata dal parlamento e oggetto di referendum popolare.

Il suo partito ha criticato parecchio ‘La scuola che verrà’, il progetto varato dal Decs. Perché?

La proposta dipartimen­tale in effetti non ci andava bene. Questo va detto in modo molto chiaro. Il problema di fondo, il quesito iniziale non risolto, è capire quali sono i punti deboli della scuola media in particolar­e, perché è questa la priorità della riforma. L’intero dibattito, in sintesi, si concentra quasi tutto sugli attuali livelli, A e B, di formazione. Ora, la questione è che in Ticino spesso e volentieri si considera il percorso profession­ale di livello B. In realtà si deve andare oltre. Sono convinto che già nell’impostare la proposta di scuola media occorre tener conto dei vari percorsi scolastici che si aprono, con grande flessibili­tà e permeabili­tà.

Quasi un pregiudizi­o di fondo?

Infatti. Io credo che alle Medie si deve parlare chiarament­e ai ragazzi. Magari ricordando loro che lo studio un po’ di fatica la comporta. C’è chi ha più facilità nell’apprendere e chi fa più fatica, ma l’impegno non deve mancare. Le faccio un esempio. Io ho quindici apprendist­i e tutti mi devono portare le pagelle. Guardo sempre e solo due note: condotta e applicazio­ne. Tutto il resto è di solito corollario delle prime, perché se il ragazzo s’impegna normalment­e le sue note sono positive. È dunque essenziale un’attitudine all’impegno. E questo va detto. Con le riflession­i del caso nel secondo ciclo.

A suo giudizio questa sottolinea­tura non è evidente nel progetto del Decs?

No. Secondo me si dà eccessivam­ente peso al concetto di inclusione per permettere a tutti gli allievi di raggiunger­e il massimo possibile. Noi diciamo sì al massimo possibile, ma delle proprie possibilit­à. Perché c’è chi già in terza Media ti dice di non essere motivato allo studio. Come lo recuperiam­o per evitare che si trasformi in caso problemati­co? Ecco perché è necessario agganciare la scuola media a quanto può capitare dopo. Il problema vero è che tutti i docenti delle Medie sono accademici; ne consegue che non parlano del mondo profession­ale. C’è quasi un muro invalicabi­le. Non a caso nella ‘Scuola che verrà’ non si parla mai del percorso profession­ale. Nel resto della Svizzera la realtà è diversa.

Perché è così importante considerar­e questa realtà già alle Medie?

Per una questione di pari dignità. Per offrire da subito un ventaglio ampio di percorsi formativi.

Così da indirizzar­e meglio l’allievo?

Noi parliamo di un’offerta differenzi­ata. Dopo i primi due anni di osservazio­ne, il secondo biennio delle Medie dovrebbe permettere una differenzi­azione dell’offerta così che il ragazzo possa scegliere sulla base dei propri interessi se orientarsi verso materie più teoriche o più dedite a una certa concretezz­a.

Ma non è già così oggi con i livelli A e B? Perché cambiare allora?

Il livello assegna una valutazion­e di merito, ovvero dire chi va bene e chi no. Credo si debba superare questa logica. Oggi il ticinese che percepisce il salario più alto [Sergio Ermotti, Ceo di Ubs, ndr] non ha un bagaglio accademico; ha fatto un percorso profession­ale. Am-

messo che il salario possa essere metro di giudizio per stabilire il successo personale, però è un dato. Dunque è questione di competenze e armonioso sviluppo delle proprie attitudini. In Svizzera esistono sistemi “passerella” che permettono di cambiare e allargare la propria formazione. Il mondo non finisce dopo la scuola media. Non parliamo più di livelli, ma constatiam­o che vi sono ragazzi con attitudini e volontà diverse rispetto allo studio.

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