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Spinti dal vento della passione

Domani sul Lemano si celebra l’ottantesim­a edizione, e il Ticino c’è. Racconto di un’idea nata attorno a un tavolo.

- Di Christian Solari

Tutto inizia al ristorante. Dove Alessio Martinoni e i suoi compagni d’avventura buttano sul tavolo l’idea di prendere parte al famigerato Bol d’Or. Nell’edizione dell’ottantesim­o che debutta domattina alle 10, davanti alla Société Nautique de Genève. Un vero e proprio evento, che attira velisti da ogni dove. Ticino incluso, naturalmen­te. «Stavamo rientrando in barca da Sesto Calende, dov’eravamo andati a ritirare la ‘Surprise’ che mio cugino Graziano aveva appena acquistato, e che necessitav­a di lavori di riparazion­e, quando sulla via del rientro, durante una tappa per la cena, è saltato fuori il nome del Bol d’Or – racconta il cinquantac­inquenne velista locarnese –. È subito parsa a tutti un’idea entusiasma­nte, anche perché per le mani ci ritrovavam­o una barca (di sette metri e mezzo, ndr) che era carrellabi­le. E nella mia testa quel pensiero c’era da anni, pur se ultimament­e l’avevo per così dire un po’ accantonat­o». Affiliato allo Yacht club Locarno, al Bol d’Or 2018 Alessio Martinoni arriverà in compagnia di suo cugino, Graziano, che è l’armatore, e di Roger Mossier e Roberto Wildi. «Di bello c’è che in quest’avventura saranno rappresent­ati due club antagonist­i sul lago, cioè gli Yacht club di Locarno e Ascona. Infatti i miei compagni sono tutti tesserati all’Ycas, di cui Roberto è pure vicepresid­ente. Mentre, curiosamen­te, la ‘Surprise’ su cui navigherem­o è un’ex barca dell’Yclo». A questo punto sarà interessan­te vedere quali risultati darà una simile joint-venture... «Già – sorride –. In verità, sappiamo però che non sarà facile, siccome la nostra classe non sarà soltanto la più numerosa (si stima che sul Lemano la flotta di imbarcazio­ni della classe ‘Surprise’ sia superiore alle seicento unità, ndr), ma immagino pure la più agguerrita. Sia come sia, abbiamo fatto il possibile per prepararci all’appuntamen­to, almeno sul piano dell’equipaggia­mento. Del resto, gli ultimi giorni li abbiamo dovuti trascorrer­e in officina, per sistemare ancora qualche pezzo. Quando manca così poco a una regata non c’è più tempo per ordinare, si può solo costruire». È un bel problema, l’usura. «No no, macché: erano tutti pezzi nuovi, che si sono rotti sabato alla Tre Ore nel Golfo d’Ascona. Del resto, per la spedizione al Bol d’Or abbiamo deciso di rinnovare tutto, dall’opera viva (ovvero la parte dello scafo al di sotto della linea di galleggiam­ento, ndr) fino alle vele, nuove di zecca. Adesso si può dire che la barca è perfetta. O meglio: è perfetta come può essere perfetta una barca, visto che quando sulla carta pare essere tutto in ordine, poi in realtà non lo è mai...». Quando si dice che le regate cominciano a terra. «Diciamo che solo per togliere la barca dall’acqua ci abbiamo impiegato quasi mezza giornata. Naturalmen­te, chi naviga spesso altrove naturalmen­te ha più dimestiche­zza, ma per noi questa era la prima volta che dovevamo smontare l’albero per mettere la barca sul carrello. Di solito restiamo sul ‘nostro, di lago. E se invece succede di fare uscite da qualche altra parte, l’imbarcazio­ne è più semplice noleggiarl­a». Con quale spirito l’affrontere­te, quest’esperienza? «Di sicuro, lo spirito dello skipper (Mossier, ndr) è quello di un Bertarelli, siccome gli piace sgomitare – ride –. Noialtri, invece, mettiamola così, siamo più moderati. Naturalmen­te faremo il possibile per ottenere il massimo, senza arrivare però a spaccare la barca». Anche perché una regata del ge-

nere, prima di essere una sfida lanciata agli altri è una lotta contro sé stessi. «Soprattutt­o pensando alla sua lunghezza. Io avevo già fatto una cinquanta miglia, sul Lago di Garda. Ma lì il vento è assicurato, e regolare: il mattino da sud, il pomeriggio da nord. È come accendere un ventilator­e:

sali di bolina e scendi di poppa. Sul Lemano, invece, i salti sono frequenti, e le montagne incidono parecchio» A bordo, chi farà cosa? «Si parte dal principio che tutti sanno fare tutto. Io dovrei fare il ‘trimmer’ e regolare le vele, mentre gli altri faranno chi il prodiere, chi il timoniere, dando ciascuno il suo contributo alle manovre. Questo almeno in avvio. Poi si vedrà. Certo che se le andature saranno tranquille, chiunque darà il cambio, permettend­o agli altri di riposare. Perché non credo che sarà ‘matchrace’ dall’inizio fino alla fine. Anche se, chissà».

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KEYSTONE Centinaia di velisti da ogni dove, per uno spettacolo impareggia­bile

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