Sempre un fatto pubblico
Oggi a Bellinzona si riuniscono gli architetti svizzeri: un libro prova a stimolare una riflessione In un’epoca di opportunità e pericoli, la città si presenta come caso emblematico di un futuro tutto da delineare, tutelando lo spazio vitale comune dalla
“Questo fervore edilizio sorretto da una visione della città chiara e condivisa – pur tra i litigi –, attenta non solo alle parcelle private ma anche e soprattutto alle strade e agli spazi pubblici, è quasi commovente se si pensa ai pasticci venuti dopo”. Il fervore cui allude Matteo Terzaghi è quello che, a fine Ottocento, ha fatto di Bellinzona una cittadina moderna, pronta a svilupparsi, ma con una chiara visione architettonica e urbanistica, ancora sotto i nostri occhi. Leggendo ‘All’inizio era un bernoccolo, poi venne la foca’, vien da chiedersi se i ticinesi di oggi siano ancora capaci di una tale progettualità, al passo con i tempi ma rispettosa del territorio, e del buon gusto. Il testo di Terzaghi è uno dei quattro che compone ‘Bellinzona Grand Tour’ (gli altri sono di Anna Ruchat, Daniele Bernardi e Vanni Bianconi), un piccolo volume pensato dalla sezione ticinese della Federazione Architetti Svizzeri (Fas), che oggi e domani a Bellinzona ha in programma la sua assemblea nazionale.
La maggior parte di ciò che viene costruito in questo cantone non è più nelle mani degli architetti, ma di grosse imprese che costruiscono, non fanno architettura
L’idea era quella di affidare a quattro autori legati a Bellinzona altrettanti itinerari nella città, da percorrere poi con i circa 240 architetti che oggi si ritroveranno qui. Il volume, da oggi in libreria, è stato curato da Francesco Buzzi (presidente Fas Ticino) e Sara Groisman per le Edizioni Casagrande; e si propone come una “rilettura trasversale del territorio urbano e periferico della città”, ad uso anche dei ticinesi che la conoscono poco. Dal Neolitico alla modernità, dallo sperone roccioso (il “bernoccolo”) alla foca di Remo Rossi, Bellinzona si offre infatti come un concentrato raro di epoche in un territorio circoscritto. Ma soprattutto
si presenta come un laboratorio – architettonico, urbanistico, pianificatorio – dopo l’apertura di AlpTransit e la nascita della “Nuova Bellinzona”, di cui ci si appresta a delineare il volto futuro, in un concentrato di «opportunità e allarmi», come sostiene Ludovica Molo, presidente della Fas nazionale. Come spiega Buzzi, l’idea è quella di stimolare «un dibattito e una riflessione». Nell’anno europeo del Patrimonio culturale, quella di Bellinzona è una scelta simbolica: «Il patrimonio non è solo il passato ma arriva ai giorni nostri». Ecco così, fra i vari appuntamenti di questi due giorni, il premio Fas a Mario Pagliarani (scopritore di territori con i “pellegrinaggi” della sua Via Lattea) e l’apertura in Piazza Teatro della mostra dedicata ai “nuovi monumenti” da tutelare, come l’autostrada Chiasso-Gottardo concepita da Rino Tami: «Un’opera di grande rilievo che merita di essere trattata con tutto il riguardo dalle autorità»... Se, come si legge negli statuti Fas, gli architetti devono essere “coscienti delle loro responsabilità”, abbiamo rivolto a Buzzi alcune domande sulle sfide con cui sempre più si trovano confrontati progettisti, istituzioni e singoli cittadini in un’epoca di speculazioni feroci.
In questa fase storica, fra opportunità e brutture, perché Bellinzona è un caso emblematico?
In questo momento c’è un boom edilizio senza precedenti. In quanto “porta del Ticino”, Bellinzona sta subendo l’attacco frontale di immobiliaristi che ne hanno compreso il potenziale, per cui si costruisce molto ma non con la dovuta attenzione e la dovuta qualità. C’è poi il fatto che l’aggregazione costringe finalmente a una logica non più soltanto comunale ma intercomunale: sono diversi villaggi che devono trovare un legante identitario. Si tratta di immaginare qual è la strategia per evitare che tutti quegli spazi intermedi vengano riempiti da edilizia di bassa qualità. Purtroppo, spesso le parti non centrali delle nostre città sono state oggetto della più bieca speculazione, perché non considerate come luoghi di valore. Al momento, nel delineare le città del futuro, sono i bordi ad essere più in pericolo. Fra 500 anni queste costruzioni ci saranno ancora? La maggior parte delle persone non abita nei centri storici ma ha diritto di vivere in uno spazio di qualità.
In Ticino si è orgogliosi di una tradizione di rilievo e si è fondata vent’anni fa un’Accademia già prestigiosa. Eppure, a livello di pianificazione, qual è il margine di dialogo fra il vostro mondo e quello dei comuni che hanno sempre tenacemente difeso la loro autonomia?
Le nostre associazioni dialogano con il cantone e i comuni, cerchiamo di promuovere delle commissioni urbanistiche che riteniamo essenziali alla qualità del costruito. Ci confrontiamo però con una realtà in cui la maggior parte di ciò che viene edificato in questo cantone non è più nelle mani degli architetti, ma di grosse imprese che costruiscono, non fanno architettura. Il problema è che non si pensa a lungo termine, mentre sarebbe utile fare più concorsi e riflessioni territoriali più ampie. La revisione della Legge sulla pianificazione del territorio obbliga i comuni ad una visione strategica, noi ci auguriamo che questo nuovo strumento sia l’occasione per avviare questa riflessione. Come sostiene anche Alain Berset, alla lunga la speculazione non è un investimento pagante per nessuno, neanche per chi l’ha fatta.
Una passeggiata fra Bellinzona e Locarno, o a Lugano Sud, o nel Vedeggio, o nei pressi di Mendrisio, lascia però il dubbio che i danni siano stati fatti... Si può rimediare?
Purtroppo, molto è già stato fatto. Ma a maggior ragione occorre lanciare un grido d’allarme, lottiamo affinché la distruzione del territorio venga fermata. Il vero compito del nostro mestiere oggi è proprio questo, creare, salvaguardare e promuovere il futuro del territorio; favorire una comunità.
Dopo la rinuncia a una visione cantonale, l’epoca delle aggregazioni può innescare un percorso positivo?
O adesso o mai più. Da un lato sono scettico, dall’altro ho grande fiducia perché vedo venire dal basso, ossia dai cittadini, una nuova coscienza rispetto al proprio territorio. Sempre più persone si mobilitano per la salvaguardia del proprio spazio vitale, e sono certo che così si potranno influenzare determinate scelte politiche. La democrazia è questo, per fortuna. Ogni cittadino è responsabile del proprio territorio, siamo noi che produciamo il nostro patrimonio, ogni scelta personale ha un’influenza: l’architettura è sempre un fatto pubblico.