Il business del Dna
Stoccolma – Non solo piante e semi. Anche le biodiversità delle profondità marine sono ormai in gran parte sotto brevetto e nelle mani di pochi. Aziende, università e agenzie governative di soli dieci Paesi detengono la quasi totalità dei brevetti di quasi 13mila sequenze genetiche associate a 862 specie di piante e animali marini. E una delle più grandi compagnie chimiche al mondo è proprietaria del 47% delle sequenze. Lo ha reso noto il biologo marino Robert Blasiak, del Centro di resilienza di Stoccolma. Da una banca dati con 38 milioni di registri di sequenze genetiche associate a brevetti, i ricercatori hanno estratto quelli relativi alle specie marine, appartenenti a 559 enti, che vanno dallo sperma di balena alla manta gigante fino al plancton. Alle università appartiene il 12% dei brevetti, mentre ad altre organizzazioni, quali agenzie governative, privati, ospedali e istituti di ricerca no profit, resta il 4%. Ci sono differenze tra Paesi: negli Stati Uniti non sono brevettabili il Dna umano o qualsiasi altra sequenza genetica presente in natura, ma solo quelle modificate dall’uomo. In Europa invece qualsiasi materiale che sia stato isolato dal suo ambiente naturale è brevettabile. Nel caso delle specie marine vi sono lacune giuridiche. A livello internazionale esiste il Protocollo di Nagoya, che prevede una equa condivisione dei benefici derivanti dall’utilizzazione delle risorse genetiche e offre protezione dallo sfruttamento di ricerche nel sottosuolo all’interno della giurisdizione nazionale. Il problema è che i due terzi dell’oceano non rientrano nella giurisdizione dei singoli Paesi.