L’uomo e la montagna
Scrivere e andare in montagna sono esperienze simili, spiega Faggiani: lunghissime traversate in posti sconosciuti di cui conosci la meta, ma non come raggiungerla
Ci sono storie che appassionano, sin dalle prime righe fendono l’animo, ci prendono con tale forza che non le molliamo più fino all’ultima pagina. Mi è successo con ‘La manutenzione dei sensi’ di Franco Faggiani uscito per Fazi editore. Un romanzo umano, genuino, a tratti autobiografico che non solo trasmette amore e rispetto per la montagna e i suoi ritmi, la sua natura ma ci confronta con le dinamiche talvolta tristi, talvolta fortunate della vita: la perdita di una persona amata, una professione che si trasforma radicalmente e un bambino meraviglioso con la sindrome di Asperger. Tutto questo condensato in una prosa ritmica e leggera che porta a spasso il lettore per 250 pagine offrendogli diversi momenti di sosta per annaspare l’aria, riflettere, sentire.
Franco Faggiani, di questi tempi sembra essere esplosa la moda della montagna, tutti ne parlano, perché secondo lei c’è questa fuga verso l’alto?
Rappresenta la ricerca di una vita diversa, di un attimo di quiete dalla quasi triste quotidianità e il posto migliore per andarla a cercare e per fare quella che chiamo la manutenzione dei sensi è la montagna. Ci sono studi meravigliosi che elogiano gli effetti terapeutici delle alture, fior di medici che dicono bene dell’immersione nella natura, del bagno nel bosco...
Quando ha scoperto questa dimensione?
Il mio rapporto con la montagna è nato ormai tanti anni fa, ho un’età ragguardevole. Sono nato e vissuto a Roma e dunque la montagna non la conoscevo minimamente. A 19 anni sono stato in Nuova Guinea e con un gruppo di alpinisti abbiamo esplorato un territorio allora sconosciuto e poi negli anni ho fatto gare, sci, arrampicata. Adesso ho abbandonato un po’ tutto questo, mi sono dato una visione più filosofica della montagna e faccio lunghissime traversate in posti possibilmente sconosciuti. Ed è una cosa che lego molto alla scrittura perché
anche nella scrittura fai delle lunghissime traversate in posti sconosciuti di cui conosci la meta, sai che devi andare in quella direzione ma non sai mai che cosa ti succederà per strada e chi incontrerai. Però il fascino del viaggio è proprio questo, non è arrivare alla meta ma tutto quello che fai lungo il percorso.
Ci sono alcuni tratti biografici nel romanzo, quali in particolare?
C’è una parte molto autobiografica nel protagonista, quello che ha fatto lui l’ho fatto anch’io, e anche io ho avuto le mie sventure professionali. Il libro è nato come tentativo di ripresa di quel periodo ed è nato facendo una camminata in montagna in un posto fuori mano in Val
di Susa dove poi è ambientata tutta la storia. Sono finito in un rifugio molto in alto, molto impegnativo da raggiungere, dove, su questa panchina c’era un ragazzino tredicenne con lo sguardo perso nel vuoto che ho poi scoperto avere la sindrome di Asperger. In quel momento eravamo due un po’ persi, lui per un motivo, io per un altro. E quando mi è venuto in mente di scrivere una storia, diciamo di riscatto, di positività, l’ho fatto prendendo le due parti e ambientandolo in montagna perché lì ci siamo incontrati.
Perché ha sentito il bisogno di scrivere una storia di riscatto?
Agli esordi ero un giornalista freelance. Mi proponevo ai giornali e mi autofinanziavo, con un servizio all’estero me ne pagavo un altro e via dicendo. Funzionava, era un’epoca di giornalismo completamente diverso da quello che c’è oggi. Non c’era il telefonino, non c’era internet, quindi dovevi camminare nel vero senso della parola, andare nei posti. Facevo anche il fotografo, mi ero organizzato bene e questo mi ha aiutato a sopravvivere più a lungo di altri inviati. Ho avuto la fortuna di avere dei maestri illustri, grandi inviati dei giornali dell’epoca, uno di questi era Lucio Lami inviato e corrispondente di guerra del giornale di Montanelli. Siamo diventati amici, abbiamo lavorato insieme. Era un mondo fervente e mi sono lanciato. Oggi mi occupo di enogastronomia, che è una cosa molto tranquilla e molto gustosa, un bel argomento. Mi sono sempre divertito a fare questo mestiere.
Da dove nasce la scelta del titolo ‘La manutenzione dei sensi’?
Faccio un esempio pratico. Quando sono venuto a Milano sono andato ad abitare proprio di fianco ad una ferrovia, quando passavano i treni tremava la casa. Dopo due mesi i rumori dei treni non li sentivo più. Se vivi sempre nello stesso ambiente, fai sempre le stesse cose, c’è questa assuefazione a tutto, anche ai sensi, agli odori, ai suoni, a guardare le cose in un certo modo. Invece quando si va in montagna a camminare si fa molta manutenzione dei sensi, che poi, se andiamo a vedere, nel libro diventa manutenzione dei sentimenti. A Martino piace molto andare nel bosco di notte, una volta ci va con il padre e gli dice facciamo la manutenzione dei sensi e spegne la lampada frontale.
È un bambino molto saggio, questo Martino...
È il bambino che aiuta l’adulto a vivere bene in montagna perché il bambino è privo di quegli orpelli mentali che l’adulto si porta dietro. Ne è privo per un fatto anagrafico perché è giovane e non è ancora inquinato dal mondo, e poi perché, grazie alla sindrome di Asperger, è più diretto, non gli interessano i fronzoli, parla solo delle cose che gli interessano.
Quale ruolo, quale spazio ha la sindrome di Asperger nel romanzo?
Volevo metterla ma non volevo fare un libro sulla sindrome di Asperger. È una condizione di uno dei due protagonisti ma dovendola trattare dovevo essere preciso, non potevo fare errori. Perché poi il lettore ti chiama e ti chiede se quello che scrivi è vero o meno. Mi sono documentato molto, ho conosciuto molti genitori e ragazzi con questa sindrome. Martino ha un po’ di caratteristiche di ognuno. Come dicevo all’inizio, ad ispirarmi è stato il bambino sulla panchina. Eravamo seduti uno di fianco all’altro, ho cercato di attaccare bottone di fare conversazione ma lui non mi considerava per niente. Poi, prima di andarmene, ho fatto un ultimo tentativo: chissà che montagne sono queste qui davanti, ho detto. Partendo in quarta, senza battere ciglio mi ha sparato il nome delle dieci cime davanti a noi dicendone anche l’altezza esatta in metri. Sono rimasto di sasso e da lì è nata la curiosità.