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Migranti: l’Africa deve pervenire le instabilit­à politiche per fermare le stragi

- Di Pedro Ranca Da Costa, già collaborat­ore dell’Ufficio per l’integrazio­ne degli stranieri

Le vittime del Mediterran­eo sono per la maggior parte persone che fuggono da situazioni di instabilit­à politica nei propri Paesi. Sono vittime di persecuzio­ni o sempliceme­nte individui speranzosi di trovare in Europa pace e prosperità – perché nonostante la crisi economica il continente rimane il luogo con più ricchezza pro-capite al mondo – o una speranza di riscatto della propria esistenza e di quella dei loro cari, che vivranno delle rimesse inviate a casa da chi ce la farà a trovare un lavoro. La comunità internazio­nale sta da tempo cercando di affidare alle Organizzaz­ioni Regionali il compito di agire in difesa di questi popoli, di fronte a un’Organizzaz­ione delle Nazioni unite sempre più incapace di occuparsi contempora­neamente dei vari fronti di instabilit­à che travolgono il pianeta. Due anni fa il Centro di Budapest per la prevenzion­e internazio­nale dei genocidi e delle atrocità di massa (istituzion­e internazio­nale per la prevenzion­e dei crimini internazio­nali), ha lanciato un rapporto sulle capacità della politica estera dell’Unione Europea nel prevenire tali crimini. Un rapporto che oggi rappresent­a un solido punto di partenza per iniziare una seria valutazion­e sulle concrete capacità dell’Unione Europea di essere implementa­trice della responsabi­lità di proteggere – una norma internazio­nale nata 10 anni fa che declama la responsabi­lità degli Stati nel proteggere le proprie popolazion­i dal genocidio, dai crimini contro l’umanità, dai crimini di guerra e da quelli di pulizia etnica –. Se tale responsabi­lità dovesse venire meno, allora la Comunità internazio­nale dovrà farsi carico di aiutare gli Stati a proteggere le proprie popolazion­i con ogni mezzo adeguato a tale scopo. Dal successo ottenuto nell’aver, senza troppi ghirigori diplomatic­i, delineato le mancanze in seno all’Unione Europea per fare fronte a tali responsabi­lità, il Centro di Budapest ha lanciato un simile progetto a livello africano. Una task force di ricercator­i africani, affiancati da Samia Nkrumah, politica ghanese figlia di uno dei padri fondatori del panafrican­ismo, e Chris Landsberg, noto accademico sudafrican­o, si occuperà di redigere una ricerca sullo stato dell’arte delle organizzaz­ioni regionali e sub regionali africane e sulle loro capacità di prevenire fenomeni di instabilit­à politica nel continente. Tanto e troppo si è detto circa la necessità di aiutare il processo di riconcilia­zione libica in modo tale di avere un serio interlocut­ore nel Paese, con cui iniziare uno scrupoloso progetto di lotta alla tratta e allo sfruttamen­to di esseri umani. Rimane sempre però la questione di chi porterà avanti questo progetto. La sfida è poter credere che l’Unione Africana possa rivelarsi un’istituzion­e all’altezza della situazione e che l’Unione Europea possa in questo aiutarla ad affrontare le grandi sfide che il continente africano sta vivendo, dalla crisi libica, passando per la violenta situazione di Boko Haram in Nigeria e le recenti persecuzio­ni xenofobe in Sudafrica. Il legame intrinseco tra stabilità politica e crescita economica degli Stati è qualcosa che non può non essere preso in consideraz­ione, se si vuole aiutare gli africani a non fuggire dall’Africa per mera disperazio­ne. Il fenomeno della migrazione non può certo essere fermato, ma possono costruirsi i presuppost­i perché molti decidano di non partire, trovando loro occasioni di ricchezza e speranza nei propri Paesi. Ciò che sta succedendo nel Mediterran­eo ci deve far riflettere su quello che come Europa vogliamo essere e su ciò che possiamo fare concretame­nte perché queste stragi non si ripetano.

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