Le responsabilità di un disagio
In una lettera 44 docenti della Commercio esprimono vicinanza al ragazzo arrestato un mese fa
Quando nel nostro piccolo contesto sociale accade qualcosa che supera la nostra capacità di comprensione – l’imprevisto che ci turba scompaginando certezze solo apparenti – è forse un riflesso umano, entro certi limiti comprensibile, quello di cercare un colpevole. Nella vicenda – ancora tutta da approfondire – che ha portato all’arresto di uno studente della Scuola di commercio di Bellinzona, dai commenti più autorevoli alle più meschine chiacchiere social si è puntato il dito contro la famiglia, la scuola, le armi, il web, i libri pericolosi... Ora, un gruppo di docenti ci richiama a un’altra responsabilità, (...)
Cultura, conoscenza, umanità, la responsabilità di rimettere al centro una riflessione che sfugga i capri espiatori e interroghi il cuore di un disagio diffuso...
Segue dalla Prima (...) quel dovere morale e intellettuale che compete a persone adulte che, seppure incredule e angosciate, non rigettano con sdegno l’imprevisto come altro da sé, ma lo accolgono in quanto evento che inevitabilmente entra a far parte della loro storia quotidiana. Nella lettera che pubblichiamo qui a lato, con uno slancio di grande umanità, 44 insegnanti della Commercio hanno ritenuto opportuno esprimere anzitutto una “vicinanza” al ragazzo che da un mese si trova in stato di arresto. In questa vicenda, purtroppo, hanno avuto un ruolo non marginale anche quei media che hanno promosso delle voci di corridoio a notizie (infondate), contribuendo così a uno sgomento e a un pre-giudizio collettivo pericoloso, se si considera che la persona coinvolta è un giovane da poco maggiorenne. Al momento, nel rispetto del lavoro della magistratura, nessuno può prevedere se le gravi accuse che gli sono state rivolte verranno o meno confermate, per intero o in parte. Nel dubbio logorante che questa vicenda avrebbe potuto avere conseguenze ancor più tragiche, l’unica certezza è che la prima vittima di quanto accaduto è lo stesso ragazzo arrestato, al di là di tutto espressione estrema di un malessere che non può non toccarci, interrogandoci in quanto abitanti dello stesso contesto sociale in cui tale disagio è maturato. Con sensibilità e coraggio, questi docenti si richiamano alla loro responsabilità, nel perimetro dei loro compiti educativi (peraltro sempre più ampi e difficili). E a un’idea di cultura in quanto fattore conoscitivo e, crediamo, umano, con cui innescare un processo virtuoso in grado di sottrarci a quella “violenza” e a quel “disperato senso di abbandono” che minacciano noi tutti, indistintamente. Quando l’imprevisto prende corpo, come sempre il difficile è non cedere all’istinto di cercare il capro espiatorio – la presunta causa del tutto che rimette subito ordine nel caos – ma fare proprio quel caos, sentirsene parte, attraversarlo con i propri pochi fragili strumenti. Con un minuscolo frammento di responsabilità verso quel corpo sociale che lo ha generato.