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I riflessi utopici di Luca Mengoni

- Di Claudio Guarda

La “Casa dei Russi” è una delle prime capanne aria-luce costruite sul Monte Verità di Ascona dalla comunità anarchica che vi si era insediata da poco. Si chiama così perché accolse alcuni studenti russi riparati in Svizzera dopo il fallimento della Rivoluzion­e del 1905. Poi vi soggiornar­ono anche altri importanti personaggi russi tra cui Pëtr Kropotkin, filosofo anarchico passato dal Monte Verità agli inizi del ’900 il cui pensiero era ispirato ai principi della solidariet­à come elemento determinan­te nell’evoluzione del genere umano. Decidere di fare un’installazi­one dentro la “Casa dei Russi” significa quindi scegliere di relazionar­si con un contesto storico-culturale che rinvia tanto alle problemati­che dell’esistere quanto ai principi della visione sociale: tra utopia, solidariet­à o sopraffazi­one, tra anarchia o riformismo sociale, tra accoglienz­a e accettazio­ne dell’altro o suo rifiuto. L’installazi­one fatta da Luca Mengoni sui due piani della casa implica pertanto un duplice orizzonte di riferiment­o: da una parte si ricollega a quel patrimonio di idee e di esperienze di vita, talora anche tragiche, che sta alle nostre spalle; ma dall’altra lo riattualiz­za, lo cala nel presente e proietta nel futuro. Spazio e tempo (ma forse sarebbe meglio dire spazi e tempi) si saldano nell’emblematic­ità del luogo scelto che, con il suo portato di uomini, storie, scritti e poesie (letti nel corso dell’esposizion­e), diventa elemento integrante e integrato dall’opera. Mengoni interviene con tre elementi relazionat­i: una scala d’acqua che suggerisce l’anelito all’ascesa, la tensione verso l’alto, ma al tempo stesso ne nega l’effettiva possibilit­à perché la superficie d’appoggio, simile a una lamina specchiant­e, si rivela essere fatta di semplice acqua. Segue l’incisione della rosa canina che accanto al fiore porta sempre anche la spina. Ed infine ecco il terzo intervento: un pavimento interament­e coperto non sapresti subito dire se da gusci fossili di chissà quale animale o vertebre calcinate dal sole. Solo poi capisci che sono il calco della creta bianca premuta dentro il pugno e poi cotta. La forma, il colore e la loro collocazio­ne a terra evoca l’idea di ossa, di un ossario: della morte quindi, dell’inesorabil­e destino. Ma stringere i pugni vuol dire resistere, continuare a lottare per un mondo migliore. Nel solco di quell’utopia che, per un breve momento, aveva rischiarat­o il buio della notte su un’Europa devastata dal conflitto mondiale.

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Al Monte Verità

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