I riflessi utopici di Luca Mengoni
La “Casa dei Russi” è una delle prime capanne aria-luce costruite sul Monte Verità di Ascona dalla comunità anarchica che vi si era insediata da poco. Si chiama così perché accolse alcuni studenti russi riparati in Svizzera dopo il fallimento della Rivoluzione del 1905. Poi vi soggiornarono anche altri importanti personaggi russi tra cui Pëtr Kropotkin, filosofo anarchico passato dal Monte Verità agli inizi del ’900 il cui pensiero era ispirato ai principi della solidarietà come elemento determinante nell’evoluzione del genere umano. Decidere di fare un’installazione dentro la “Casa dei Russi” significa quindi scegliere di relazionarsi con un contesto storico-culturale che rinvia tanto alle problematiche dell’esistere quanto ai principi della visione sociale: tra utopia, solidarietà o sopraffazione, tra anarchia o riformismo sociale, tra accoglienza e accettazione dell’altro o suo rifiuto. L’installazione fatta da Luca Mengoni sui due piani della casa implica pertanto un duplice orizzonte di riferimento: da una parte si ricollega a quel patrimonio di idee e di esperienze di vita, talora anche tragiche, che sta alle nostre spalle; ma dall’altra lo riattualizza, lo cala nel presente e proietta nel futuro. Spazio e tempo (ma forse sarebbe meglio dire spazi e tempi) si saldano nell’emblematicità del luogo scelto che, con il suo portato di uomini, storie, scritti e poesie (letti nel corso dell’esposizione), diventa elemento integrante e integrato dall’opera. Mengoni interviene con tre elementi relazionati: una scala d’acqua che suggerisce l’anelito all’ascesa, la tensione verso l’alto, ma al tempo stesso ne nega l’effettiva possibilità perché la superficie d’appoggio, simile a una lamina specchiante, si rivela essere fatta di semplice acqua. Segue l’incisione della rosa canina che accanto al fiore porta sempre anche la spina. Ed infine ecco il terzo intervento: un pavimento interamente coperto non sapresti subito dire se da gusci fossili di chissà quale animale o vertebre calcinate dal sole. Solo poi capisci che sono il calco della creta bianca premuta dentro il pugno e poi cotta. La forma, il colore e la loro collocazione a terra evoca l’idea di ossa, di un ossario: della morte quindi, dell’inesorabile destino. Ma stringere i pugni vuol dire resistere, continuare a lottare per un mondo migliore. Nel solco di quell’utopia che, per un breve momento, aveva rischiarato il buio della notte su un’Europa devastata dal conflitto mondiale.