Giustizia di classe
Segue da pagina 16 (...) disequilibrato di una giustizia di classe, parziale e discriminatoria. Degli abusi dello stato sociale si è ampiamente parlato negli ultimi anni: chi non conosce qualche storiella in merito? La donna che da anni intasca l’invalidità e intanto passa il tempo fra fitness e abbondanti acquisti? Il giovane, eventualmente straniero, a carico dell’assistenza, che gira con la Bmw nera, con tutti i più moderni accessori? Storielle dall’origine spesso difficilmente verificabile, ma di sicuro effetto. Eppure, sarebbe ingenuo negarlo, gli abusi esistono, e vanno combattuti. Il problema è che tutti noi conosciamo ben altre storie di abusi e truffe contro lo stato – e quindi anche contro la socialità – di cui quasi nessuno parla e di cui nessuno sembra scandalizzarsi: si tratta delle storie di evasione fiscale. Per sua natura, tale fenomeno si sottrae a qualsiasi quantificazione affidabile, anche perché, stranamente, in Svizzera manca ancora uno studio ufficiale ap- profondito: ma è certo che le somme sottratte in tal modo allo stato vadano ben al di là di qualche milione che spendiamo in prestazioni sociali abusive. Stime prudenti, seppure precedenti l’introduzione dello scambio di informazioni fiscali con l’estero, parlavano di 14-15 miliardi (miliardi!) persi all’anno, le più elevate giungevano a quasi 30 miliardi: la consigliera nazionale socialista Margret Kiener-Nellen (Ps/Be) stimava nel 2016 le perdite per lo stato – dunque per tutti noi – attorno ai 20 miliardi. Ci si dovrebbe dunque aspettare che gli evasori fiscali siano perlomeno sottoposti a osservazioni tanto invasive quanto i beneficiari di prestazioni sociali. Ma non è così, anzi: solo sei mesi fa il governo ha sotterrato definitivamente, e senza spargimento di lacrime, le proposte di allentamento del segreto bancario per i contribuenti svizzeri. È in questa luce che i detective sociali palesano il loro preoccupante carattere di esecutori di una comoda giustizia di classe. Cosa non abbiamo sentito da parte della destra come argomenti contro seri controlli fiscali, messi in discussione nel 2013 dall’allora ministra delle Finanze Eveline Widmer-Schlumpf: nobili principi quali la difesa della sfera privata, la libertà del cittadino, il rapporto di fiducia fra lo stato e i contribuenti sono stati ampiamente mobilizzati per l’occasione. L’ex presidente liberale Fulvio Pelli ha toccato a volte toni quasi patetici: “... se si rinuncia ai rapporti di fiducia, la società e lo stato non ci guadagnano ma perdono, perché investire nella responsabilità individuale è molto meglio che introdurre una polizia fiscale”. Perché leggi, perché prigioni, multe o detective, dunque? “Lo stato rispetti la vita privata del cittadino, ne sarà ricambiato!”, concludeva Pelli nel 2013! Purtroppo questi bellissimi sentimenti, che da decenni proteggono i possessori di capitali occultabili al fisco, non sembrano valere per gli sciagurati che si trovano a dipendere dalle assicurazioni sociali: forse perché questi ultimi, con ogni probabilità, non appartengono alle stesse classi medie-superiori e agli stessi ambienti scelti? Anzi: i beneficiari di prestazioni sociali potranno essere oggetto di sorveglianze e controlli a cui nemmeno sospetti terroristi possono essere sottoposti. Decisamente, classe politica e parlamento stanno perdendo ogni senso della misura. Lo so, lo so: “giustizia di classe” non è un titolo elegante. Sa un po’ di ’68 e per molti probabilmente un po’ di naftalina. Ma è purtroppo la realtà verso la quale la maggioranza attuale di centro destra ci sta a poco a poco riportando. Contro i “detective sociali” è stato nel frattempo lanciato il referendum: per ora gli avversari degli inasprimenti prospettati sono in minoranza. Resta da sperare che l’inevitabile discussione pubblica servirà a correggere il tiro o perlomeno a indicare gli interventi necessari per limitare le palesi ingiustizie sociali.