laRegione

Giustizia di classe

- Di Sandro Guzzi-Heeb, storico

Segue da pagina 16 (...) disequilib­rato di una giustizia di classe, parziale e discrimina­toria. Degli abusi dello stato sociale si è ampiamente parlato negli ultimi anni: chi non conosce qualche storiella in merito? La donna che da anni intasca l’invalidità e intanto passa il tempo fra fitness e abbondanti acquisti? Il giovane, eventualme­nte straniero, a carico dell’assistenza, che gira con la Bmw nera, con tutti i più moderni accessori? Storielle dall’origine spesso difficilme­nte verificabi­le, ma di sicuro effetto. Eppure, sarebbe ingenuo negarlo, gli abusi esistono, e vanno combattuti. Il problema è che tutti noi conosciamo ben altre storie di abusi e truffe contro lo stato – e quindi anche contro la socialità – di cui quasi nessuno parla e di cui nessuno sembra scandalizz­arsi: si tratta delle storie di evasione fiscale. Per sua natura, tale fenomeno si sottrae a qualsiasi quantifica­zione affidabile, anche perché, stranament­e, in Svizzera manca ancora uno studio ufficiale ap- profondito: ma è certo che le somme sottratte in tal modo allo stato vadano ben al di là di qualche milione che spendiamo in prestazion­i sociali abusive. Stime prudenti, seppure precedenti l’introduzio­ne dello scambio di informazio­ni fiscali con l’estero, parlavano di 14-15 miliardi (miliardi!) persi all’anno, le più elevate giungevano a quasi 30 miliardi: la consiglier­a nazionale socialista Margret Kiener-Nellen (Ps/Be) stimava nel 2016 le perdite per lo stato – dunque per tutti noi – attorno ai 20 miliardi. Ci si dovrebbe dunque aspettare che gli evasori fiscali siano perlomeno sottoposti a osservazio­ni tanto invasive quanto i beneficiar­i di prestazion­i sociali. Ma non è così, anzi: solo sei mesi fa il governo ha sotterrato definitiva­mente, e senza spargiment­o di lacrime, le proposte di allentamen­to del segreto bancario per i contribuen­ti svizzeri. È in questa luce che i detective sociali palesano il loro preoccupan­te carattere di esecutori di una comoda giustizia di classe. Cosa non abbiamo sentito da parte della destra come argomenti contro seri controlli fiscali, messi in discussion­e nel 2013 dall’allora ministra delle Finanze Eveline Widmer-Schlumpf: nobili principi quali la difesa della sfera privata, la libertà del cittadino, il rapporto di fiducia fra lo stato e i contribuen­ti sono stati ampiamente mobilizzat­i per l’occasione. L’ex presidente liberale Fulvio Pelli ha toccato a volte toni quasi patetici: “... se si rinuncia ai rapporti di fiducia, la società e lo stato non ci guadagnano ma perdono, perché investire nella responsabi­lità individual­e è molto meglio che introdurre una polizia fiscale”. Perché leggi, perché prigioni, multe o detective, dunque? “Lo stato rispetti la vita privata del cittadino, ne sarà ricambiato!”, concludeva Pelli nel 2013! Purtroppo questi bellissimi sentimenti, che da decenni proteggono i possessori di capitali occultabil­i al fisco, non sembrano valere per gli sciagurati che si trovano a dipendere dalle assicurazi­oni sociali: forse perché questi ultimi, con ogni probabilit­à, non appartengo­no alle stesse classi medie-superiori e agli stessi ambienti scelti? Anzi: i beneficiar­i di prestazion­i sociali potranno essere oggetto di sorveglian­ze e controlli a cui nemmeno sospetti terroristi possono essere sottoposti. Decisament­e, classe politica e parlamento stanno perdendo ogni senso della misura. Lo so, lo so: “giustizia di classe” non è un titolo elegante. Sa un po’ di ’68 e per molti probabilme­nte un po’ di naftalina. Ma è purtroppo la realtà verso la quale la maggioranz­a attuale di centro destra ci sta a poco a poco riportando. Contro i “detective sociali” è stato nel frattempo lanciato il referendum: per ora gli avversari degli inasprimen­ti prospettat­i sono in minoranza. Resta da sperare che l’inevitabil­e discussion­e pubblica servirà a correggere il tiro o perlomeno a indicare gli interventi necessari per limitare le palesi ingiustizi­e sociali.

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