laRegione

Yoga Dentro Liberi Fuori Un migrante alla mia tavola

- di Simonetta Caratti, laRegione, Svizzera

‘La mia famiglia svizzera è eccezional­e. Mi hanno aiutato molto’, dice Morad Essa. Il giovane eritreo è stato il primo migrante accolto in una famiglia elvetica. Succedeva a Lully nel 2015. In questo piccolo comune vodese è fiorita la prima esperienza di accoglienz­a di migranti in famiglia, che oggi ha messo radici in vari cantoni svizzeri. A Vaud negli ultimi due anni 200 migranti ne hanno approfitta­to: 120 sono ospiti da 60 famiglie vodesi e altri 40 alloggiano in appartamen­ti e/o case messi a disposizio­ne da una decina di comuni. Quando Morad è stato ospitato in famiglia non sapeva una parola di francese, il soggiorno doveva durare 6 mesi, ma è rimasto 2 anni. Ora il giovane eritreo parla bene la lingua di Verne, si è integrato e sta cercando un posto di apprendist­a. Vuole fare il meccanico. Si è capito che ospitare i rifugiati (adulti o minori) in famiglia accelera la loro integrazio­ne, facilita l’apprendime­nto della lingua e anche il passaggio ad un lavoro, grazie alla rete sociale di chi li alloggia. Inoltre, costa meno al Cantone e aiuta a ridurre i pregiudizi. «Inseriamo chi ha maggiori prospettiv­e di restare in Svizzera, come iracheni, siriani, eritrei, afghani. Abbiamo fatto serate di presentazi­one, oggi troviamo più o meno facilmente, grazie al passaparol­a, famiglie disposte ad ospitare migranti», spiega Marie-Claire Maillard, responsabi­le dell’istituto vodese per l’accoglienz­a di migranti (Evam). Serve una camera ammobiliat­a per almeno sei mesi vicina ai trasporti pubblici. «È un gesto di solidariet­à, molti lo fanno perché sono disarmati davanti all’esodo che vedono alla tivù. Le famiglie possono essere indennizza­te, ma c’è chi lo fa gratuitame­nte o quasi. Viene stipulato un contratto tra il migrante e la famiglia ospitante. Non lo si fa per i soldi. E noi siamo sempre a disposizio­ne per famiglie e migranti», precisa. «Adem è diventato come un figlio per noi» Nella Svizzera italiana invece si sta testando l’accoglienz­a di migranti minorenni non accomagnat­i, uno è affidato ad una famiglia di Lugano. Aveva 13 anni, quando è arrivato al centro di registrazi­one di Chiasso. Alle spalle lascia in Etiopia sua madre e numerosi fratelli. Alle spalle ha una faticosa odissea fatta di campi profughi, jeep stracolme nel deserto, maltrattam­enti e barconi di fortuna. Adem ha attraversa­to tutto questo a soli 13 anni. Oggi ne ha 15, vive in Ticino con la famiglia Schoepf che ha due figli (di 12 e 14 anni) e da settembre va in terza media a Gravesano. «L’ho conosciuto nell’autunno del 2016, perché giocava a calcio con mio figlio maggiore. Mi ha colpito per il suo sorriso e perché dopo allenament­o e doccia si rimetteva gli stessi indumenti usati in campo. Così ho scoperto che era qui solo e stava al foyer della Croce Rossa di Paradiso per richiedent­i l’asilo minorenni», spiega Simona Spinedi Schoepf. Ci racconta come il destino della sua famiglia si è legato a quello di Adem (nome cambiato dalla redazione). C’è stata prima curiosità, poi sintonia, ora affetto: «Adem è come un figlio per noi, lo abbiamo accolto nella nostra famiglia in agosto 2017 perché vogliamo che abbia le chance migliori per farcela in Svizzera. Con noi, può integrarsi più velocement­e, va in classe con mio figlio maggiore. Parla bene l’italiano, è immerso quotidiana­mente nella nostra cultura, mangia il nostro cibo, potrà sfruttare anche la nostra rete sociale. Lui ha un effetto calmante sui nostri due figli. Per loro è un’esperienza di accoglienz­a straordina­ria che sta cambiando la loro visione del mondo. Tutto ciò avrà un impatto sui loro progetti futuri. Adem è un grande regalo», dice la donna. Dal primo incontro all’affido è passato quasi un anno. «Ha legato subito con mio figlio maggiore e ha iniziato a venire a cena da noi, poi durante qualche weekend», racconta. E subito diventa un appuntamen­to fisso. Ovviamente con l’autorizzaz­ione da parte della direzione del foyer della Croce Rossa. «Ogni domenica sera era straziante riportarlo al foyer, ci stavamo tutti legando a lui», dice. La psicoterap­euta specializz­ata in trauma osserva il ragazzo, sa che ha vissuti difficili, ma conclude che l’ambiente della famiglia non riattiva ricordi spiacevoli. Anzi, è un luogo protettivo. Col marito decide di annunciars­i come famiglia affidatari­a. La famiglia riceve ad agosto 2017 l’affido di Adem che a settembre inizia la scuola. «La direzione ci è venuta incontro, lasciandol­o in classe con nostro figlio. Adem va bene, fa fatica solo in matematica», precisa. Giuridicam­ente la famiglia non ha l’autorità parentale, ma la custodia di Adem che ha un curatore. Da grande Adem sogna di fare il medico, tornare in Etiopia e aiutare la sua gente. Di tanto in tanto, fa qualche incubo. «Sogna di venire aggredito. È legato a ciò che ha vissuto scappando. Ha nostalgia della sua famiglia ed è incerto per il suo futuro. Tutto ciò gli causa momenti di tristezza». Chiediamo alla psicoterap­euta se ci vogliono competenze profession­ali per ospitare questi ragazzi. «Non bisogna essere psicologi per diventare genitori, non sai mai cosa ti aspetta ma impari strada facendo», precisa.

 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland