Un’app oltre l’ostacolo
«I bacini fluviali sono una risorsa preziosa, ma la molteplicità degli interventi umani non adeguatamente gestiti ha prodotto alterazioni dannose non solo ai corsi d’acqua ma anche agli ecosistemi che rappresentano». Andrea Castelletti del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano spiega così il motivo che sta alla base del progetto Amber (Adaptive Managemet of Barriers in European Rivers) varato dalla Commissione Europea nell’ambito del “Programma Horizon 2020” e del quale è il referente alla guida dell’unico gruppo italiano che lo condivide. I fiumi offrono opportunità preziose per il territorio ma la mancanza di regole adeguate e di indispensabili controlli ha favorito la crescita di piccole barriere generando ostacoli e conseguenze negative. Quelle di ridotte dimensioni, inferiori ai 5 metri, costituiscono la stragrande maggioranza (circa il 90%) e provocano danni alla fauna ittica impedendo la migrazione dei pesci. Salmone e anguilla, ad esempio, sono praticamente scomparsi da alcuni corsi europei proprio per gli ostacoli che incontrano. In genere le barriere sono realizzate per innalzare il livello dei fiumi, produrre energia idroelettrica, formare casse di ritenzione delle piene. «Ma il guaio è che simili interventi apparentemente positivi – nota Castelletti – se non sono adeguatamente valutati provocano invece danni irreparabili». Resta un caso e un esempio l’Isola Serafini dal non trascurabile impatto per la quale un’analisi più accurata degli impatti sarebbe stata auspicabile. L’isola, la maggiore del fiume Po, in provincia di Piacenza, ospita una centrale idroelettrica che sfrutta il dislivello creato da un doppio sbarramento, giudicato come la causa principale del declino dello storione. Il panorama degli effetti indesiderati è molto più ampio di quanto si possa pensare. Tra questi ci sono l’indietreggiamento delle linee di costa, l’ingresso nell’entroterra del “cuneo salino” che è la superficie dove l’acqua dolce si separa dall’acqua salata e la riduzione della disponibilità d’acqua per usi agricoli. Insomma l’elenco dei problemi ambientali scaturito dalla presenza delle piccole e grandi dighe è tale che due anni fa si è dato il via al progetto Amber che, finanziato con sei milioni di euro, è adesso alla metà del suo svolgimento dimostrando, grazie alle indagini sin qui compiute, quanto fosse necessario. L’operazione mobilita venti istituzioni dei Paesi dell’Unione, da università a centri di ricerca. «Lo scopo primario – precisa Castelletti – è censire la presenza delle piccole barriere per formare una base di conoscenza su cui agire e programmare gli interventi futuri». Quante siano, infatti, nessuno lo sa. Si parla di una cifra intorno al milione ma si tratta di una valutazione generica. E quindi il primo obiettivo è creare un atlante europeo delle infrastrutture artificiali minori presenti sui fiumi le quali a causa del loro impatto cumulato nel tempo sono fonte di guai paragonabili a quelli creati dalle grandi dighe. «Con l’atlante – sottolinea l’esperto del Politecnico milanese – stiamo anche elaborando vari altri aspetti necessari comprendenti dai metodi per l’analisi di classificazione dei fiumi alle procedute più efficaci per la raccolta dei dati, alla valutazione dell’impatto ambientale generato nel territorio, quantificando i danni. A tal fine si effettuano campagne nei territori interessati per valutare le metodologie, si utilizzano le immagini raccolte dai satelliti, e si collabora anche con iniziative di ‘citizen science’ utili, in particolare, per mobilitare direttamente i cittadini e diffondere una consapevolezza del problema». Tutti con un cellulare possono riprendere immagini da inviare al gruppo progetto Amber integrando il lavoro compiuto dai ricercatori. A tal proposito si può scaricare la app “Barrier Tracking” sviluppata dal progetto e disponibile su www.amber.international. I dati delle varie nazioni sono raccolti nel centro di ricerca comunitario di Ispra dove si sta creando una vasta banca dati a cui tutti possono attingere per gli studi del caso. Sarà proprio con questa nuova risorsa di conoscenze che si potrà affrontare il terzo scopo del piano europeo, cioè le strategie da implementare per cercare di risolvere o mitigare i problemi attuali, approntando le scelte future di gestione. «Già oggi abbiamo davanti paesi virtuosi come la Francia dove sono in atto azioni concrete – ricorda Castelletti –. L’Italia e la Germania sono invece su una lista nera. Il nostro scopo è fornire ai politici uno strumento su cui costruire le loro decisioni e impostare gli interventi necessari». Tra questi ci sono la rimozione di vecchie dighe ormai improduttive e quindi economicamente inefficaci come sta avvenendo negli Stati Uniti. Importanti sono inoltre le operazioni di informazione e conoscenza nelle comunità anche piccole e un esame più preciso e più approfondito delle concessioni idroelettriche ora spesso frutto di scelte non abbastanza ponderate e che nascondono costi ambientali più rilevanti degli apparenti vantaggi immediati.