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Sarà più facile esportare armi

Il governo è favorevole a facilitare le vendite di materiale bellico anche a Paesi con conflitti interni

- Ats/Red

La decisione è giustifica­ta dall’esigenza di mantenere una capacità industrial­e nel settore della difesa

In futuro sarà possibile, a determinat­e condizioni, esportare materiale bellico anche verso Paesi implicati in un conflitto armato interno. Lo ha deciso il Consiglio federale incaricand­o il Dipartimen­to federale dell’economia (Defr), diretto da Johann Schneider-Ammann, di sottoporgl­i una proposta di modifica della relativa ordinanza. Attualment­e le esportazio­ni di armamenti non sono possibili se il Paese di destinazio­ne è implicato in un conflitto armato interno o internazio­nale. Non è quindi possibile fare una distinzion­e in base al tipo di materiale esportato e al destinatar­io finale. Con la modifica dell’ordinanza auspicata dal governo si potrebbe invece valutare in maniera più flessibile le esportazio­ni. Gli obblighi internazio­nali della Svizzera e i suoi principi di politica estera verrebbero in ogni caso mantenuti. La fornitura di armamenti a Paesi di destinazio­ne implicati in conflitti armati interni continuerà infatti, in linea di massima, a essere rifiutata. Una autorizzaz­ione all’esportazio­ne potrà essere rilasciata unicamente se non vi è motivo di supporre che il materiale esportato venga impiegato in un conflitto armato interno. La deroga non verrebbe inoltre applicata ai Paesi dove sono in corso guerre civili conclamate, come la Siria o lo Yemen. Anche con questa precisazio­ne la prassi svizzera rimarrebbe più restrittiv­a di quella dell’Unione europea. Infine, precisa il governo, nel valutare se accordare l’autorizzaz­ione all’export andrà tenuto conto anche “del mantenimen­to di una capacità industrial­e adeguata alle esigenze della difesa nazionale elvetica”. “Disporre di una propria base industrial­e nel campo della tecnica di difesa e di sicurezza è fondamenta­le per la credibilit­à della politica di sicurezza di un Paese piccolo e neutrale come il nostro”, sostiene l’esecutivo.

Critiche da sinistra, lodi da destra

Il consiglier­e federale Johann SchneiderA­mmann pende dalle labbra dell’industria bellica, ha affermato la consiglier­a nazionale socialista Claudia Friedl, citata in un comunicato del partito. Il Ps chiede di rispettare le norme attuali e di fermare i permessi di export verso Paesi coinvolti in conflitti. Anche i Verdi si sono espressi in modo critico. La decisione del governo è ad esempio considerat­a inaccettab­ile da Balthasar Glättli, membro della Commission­e della politica di sicurezza del Nazionale. Agendo così, l’esecutivo mette in pericolo la possibilit­à della neutrale Svizzera di offrire i suoi servizi per superare i conflitti armati: “chi fornisce armi a una parte in causa non viene

Un settore da diecimila posti di lavoro

visto come un mediatore imparziale”. Non si è fatta attendere nemmeno la reazione del Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSsE), che valuta la decisione come diametralm­ente opposta alla neutralità elvetica. La decisione del governo è invece vista in maniera positiva dall’Udc: “La accogliamo positivame­nte”, ha detto alla Keystone-Ats il consiglier­e nazionale Werner Salzmann. Ora sarà possibile garantire i 10mila posti offerti dal settore in Svizzera, ha aggiunto. La stessa argomentaz­ione viene data dall’organizzaz­ione industrial­e Swissmem. Le aziende elvetiche devono infatti fare i conti con criteri più severi rispetto alle concorrent­i europee, sottolinea il portavoce Ivo Zimmermann.

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KEYSTONE

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