laRegione

L’inchiesta è chiusa John Noseda

- di Andrea Manna

Domani sarà il suo ultimo giorno in veste di procurator­e generale. Per John Noseda è arrivato il momento della pensione. Per raggiunti limiti di età, avendo compiuto 70 anni. ‘La lotta ai reati economicof­inanziari è oggi una priorità in Ticino, ecco perché’. ‘Il formalismo eccessivo può trasformar­si in non giustizia’. ‘Il Ministero pubblico necessita di personale specializz­ato, come economisti e analisti’.

Stacca il 19 giugno. Definitiva­mente. Quello di domani sarà per John Noseda l’ultimo giorno in veste di procurator­e generale. Andrà in pensione. Per raggiunti limiti di età, avendo compiuto (in marzo) 70 anni: una vita spesa tra l’avvocatura, la politica – è stato fra l’altro deputato socialista al Gran Consiglio per vent’anni – e la magistratu­ra. Sostituto procurator­e pubblico sottocener­ino dal 1973 al ’79, nel 2011 rientra al Palazzo di giustizia di Lugano. Come capo del Ministero pubblico. «Questi sette anni e mezzo sono volati, non esagero. Sarà perché ho messo molta passione in un lavoro che attraverso le inchieste penali mi ha permesso di conoscere anche realtà e dinamiche sociali che altrimenti non avrei mai scoperto», dice seduto alla scrivania del suo ufficio al pianterren­o del Palazzo. Qui ha interrogat­o imputati e testimoni, ha redatto atti, decreti d’accusa e decreti d’abbandono, ha preparato requisitor­ie e ricorsi. Ora lo attende il Giappone, dove trascorrer­à una lunga vacanza. «La prima vera vacanza che faccio dai tempi della maturità liceale». E poi? «Salute permettend­o, lo studio e qualche pubblicazi­one su temi riguardant­i la criminolog­ia e la filosofia del diritto». Tanto per restare in tema, anche in pensione.

Incontrand­o i giornalist­i all’indomani della sua elezione a procurator­e generale, lei aveva dichiarato: ‘Intendo attuare la necessaria riorganizz­azione del Ministero pubblico e consolidar­la. Il che comporterà del tempo. Fino a 70 anni quindi so cosa fare.’ Missione compiuta?

Nel 2011 con l’entrata in vigore della procedura penale unificata sul piano federale – per intenderci, un solo codice per tutti i cantoni – la riorganizz­azione del Ministero pubblico, come delle altre autorità giudiziari­e ticinesi, era un passo obbligato. Ebbene, ritengo che l’adeguament­o delle modalità di lavoro della Procura alle disposizio­ni della procedura del 2011 sia riuscito. E ritengo che queste modalità si siano consolidat­e. Con una precisazio­ne.

Prego.

Vi è stato un non indifferen­te onere di lavoro supplement­are per il fatto che il codice federale, rispetto a quello previgente cantonale, ha esteso in maniera abbastanza importante le garanzie dell’imputato. Garanzie più formali che sostanzial­i, secondo me. I difensori, per esempio, devono essere presenti agli interrogat­ori dei loro assistiti fin dall’apertura del procedimen­to (alludo al cosiddetto avvocato della prima ora), possono partecipar­e a tutte le fasi dell’inchiesta, vanno informati di ogni atto istruttori­o compiuto e via dicendo. Tutto ciò ha prodotto e produce anche ‘carta’. In altre parole, ha provocato pure un eccesso di lavoro amministra­tivo, che non è stato però accompagna­to da un adeguato potenziame­nto del Ministero pubblico in termini di risorse umane. Anche per le misure di risparmio adottate in questi anni da governo e Gran Consiglio per risanare i conti pubblici.

Sul capitolo potenziame­nto torneremo fra un attimo. Lei aveva coordinato il gruppo di lavoro incaricato dal Consiglio di Stato di valutare gli adattament­i della legislazio­ne cantonale al nuovo codice federale di procedura penale. In un’intervista rilasciata nel 2008 alla ‘Regione,’ qualche mese dopo la consegna del vostro rapporto al governo, aveva richiamato il rischio derivante da un garantismo accentuato: quello di una giustizia lenta e costosa.

E così è stato. Con l’introduzio­ne dell’avvocato della prima ora sono lievitati i costi, a carico del Cantone, delle difese d’ufficio. E in generale i tempi delle inchieste si sono allungati. Prendiamo il caso di uno spacciator­e di droga: anche se questi è reo confesso, il suo difensore ha il diritto di partecipar­e all’interrogat­orio delle decine e decine di consumator­i che da quello spacciator­e hanno acquistato la sostanza stupefacen­te e porre a sua volta delle domande. Con il codice di procedura ticinese il contraddit­torio poteva essere concesso solo quando il difensore, letti i verbali delle audizioni di coimputati o testimoni, contestava questa o quella dichiarazi­one. Le garanzie sono sacrosante, ci mancherebb­e altro. Ma un garantismo spinto e un formalismo eccessivo rischiano di trasformar­e la giustizia, rallentand­ola, in non giustizia. Lo dico con riferiment­o alle vittime di reati, soprattutt­o alle vittime che, disponendo di scarsi mezzi finanziari, non possono sostenere a lungo le spese di patrocinio. Ricordo comunque che il Cantone ha introdotto, nel limite delle sue competenze, qualche correttivo, ad esempio per contenere i costi delle difese d’ufficio. Ma eventuali correttivi incisivi vanno decisi a Berna: l’attuale procedura penale è appunto una legge federale.

Dato il contesto normativo odierno e a proposito di potenziame­nti, di cosa ha bisogno oggi il Ministero pubblico?

Per rispondere a questa domanda, occorre dapprima considerar­e evoluzione e tendenze della criminalit­à in Ticino, proprio per individuar­e i settori della magistratu­ra inquirente che hanno bisogno di rinforzi e giustifica­rli così anche agli occhi dei cittadini, dei contribuen­ti.

E al riguardo lei ha insistito a più riprese sulla necessità di rafforzare la lotta contro gli illeciti finanziari...

Perché in questi ultimi anni abbiamo registrato un consistent­e incremento di tali reati. Un aumento da ricondurre anche alla crisi economica: in certi casi, essendoci meno denaro liquido in circolazio­ne, il ‘buco tappa buco’ non è più possibile.

Reati finanziari che non sembrano destare quell’allarme sociale che invece suscitano rapine e furti con scasso.

Eppure gli effetti di truffe e malversazi­oni possono essere devastanti per le parti lese. Abbiamo persone che hanno visto bruciare gran parte dei loro risparmi a causa dell’agire di operatori finanziari senza scrupoli. Abbiamo lavoratori con salari da fame e che sono inoltre ‘scoperti’ sul piano assicurati­vo perché i sedicenti imprendito­ri di cui sono alle dipendenze non versano i relativi contributi, danneggian­do così anche lo Stato e di riflesso l’intera collettivi­tà. Abbiamo fornitori di ditte che non vengono pagati e che per questo rischiano di chiudere. E abbiamo, passando agli autori di reato, soggetti che si installano in Svizzera per compiere, abusando anche dell’efficienza dei nostri servizi bancari, truffe a livello internazio­nale. Che sovente sono messe a segno e/o tentate con l’ausilio dell’informatic­a, il che complica ulteriorme­nte indagini già complesse. Sarebbe allora auspicabil­e che, previa modifica legislativ­a, casi particolar­i in cui l’informatic­a è usata per occultare o trasferire fondi provenient­i da reati commessi in più Paesi vengano attribuiti al Ministero pubblico della Confederaz­ione, che nell’ambito della collaboraz­ione giudiziari­a internazio­nale può contare su mezzi e contatti maggiormen­te performant­i dei nostri.

Sempre in materia di illeciti finanziari, come magistrati inquirenti notate dell’altro in Ticino?

Assai spesso ci imbattiamo in società prive di capitale, costituite soltanto per coprire opera- zioni illegali. È allora indispensa­bile e urgente rivedere anche, a livello federale, la regolament­azione del sistema societario. Attualment­e purtroppo i controlli preventivi sono limitati. E così chiunque ha la possibilit­à di acquistare con una modica spesa uno strumento societario per commettere reati. Lo vediamo in particolar­e nella raccolta di fondi. Inoltre, complice la crisi, è salito il numero dei fallimenti. Ma nel contempo è aumentato anche quello dei reati fallimenta­ri. Ci sono poi dissesti ‘programmat­i’. Si chiude e si apre una nuova società, con fornitori della ditta fallita non pagati e con oneri sociali non versati. Insomma, la lotta ai reati economico-finanziari è oggi una priorità in Ticino. Se lo Stato non intensific­a l’azione di contrasto, finisce pure per legittimar­e forme di concorrenz­a sleale ai danni di imprese serie e solide, che per fortuna sono ancora la maggioranz­a delle società attive sul nostro territorio. La lotta agli illeciti finanziari è ora una priorità soprattutt­o in un cantone dove una parte importante della sua economia si fonda sul settore terziario. Un settore che per attrarre investimen­ti sani e iniziative valide a beneficio della collettivi­tà deve essere assolutame­nte preservato da azioni illecite.

Rifaccio allora la domanda: di cosa ha bisogno oggi il Ministero pubblico?

Di personale specializz­ato nella ricostruzi­one dei flussi finanziari dei casi oggetto d’inchiesta e che sia in grado di svolgere indagini una volta formato per questo compito. Non parlo necessaria­mente di magistrati. Parlo di giuristi, di economisti e di analisti che possano coadiuvare i procurator­i pubblici nei procedimen­ti per reati finanziari. Che vadano a rinforzare non solo il Ministero pubblico, ma anche la Ref, la Sezione reati economico-finanziari della Polizia giudiziari­a.

Questi rinforzi non sarebbero però a costo zero.

Si tratterebb­e di un investimen­to. La spesa verrebbe recuperata grazie a un’accresciut­a attività preventiva, che ridurrebbe eventuali importanti danni e costi per lo Stato cagionati dalla commission­e di reati e grazie a un’accresciut­a attività repressiva, che si tradurrebb­e anche in entrate per lo Stato in termini di confische. Confido pertanto nella lungimiran­za del governo e del Gran Consiglio, alla luce pure della migliorata situazione finanziari­a delle casse cantonali. Aggiungo che il potenziame­nto al quale ho accennato – e che un gruppo di lavoro di cui ho fatto parte ha quantifica­to in un rapporto al governo – darebbe un senso alla stretta collaboraz­ione instaurata­si nel frattempo tra Procura, Fisco, Assicurazi­oni sociali, uffici esecuzione e fallimenti e uffici del registro di commercio. Questa sinergia tra autorità cantonali – che ho fortemente voluto e che si è sviluppata grazie alla sensibilit­à del Consiglio di Stato e in particolar­e dei Dipartimen­ti maggiormen­te coinvolti (Istituzion­i, Finanze ed economia, Sanità e socialità)– sta funzionand­o e ha portato, porta e porterà alla scoperta di illeciti e alla conseguent­e apertura di procedimen­ti penali. Che però vanno e andranno evasi, in tempi ragionevol­mente celeri nel rispetto comunque delle non poche garanzie e formalità di questa procedura penale. Ecco perché la Procura necessita del personale di cui ho parlato. Se la giustizia vuole avere anche un effetto dissuasivo, ciò che conta non è tanto l’entità della pena, quanto la certezza della condanna.

C’è un’altra questione aperta: la logistica.

Una questione che tocca, oltre alla Procura, il Tribunale d’appello. Conviviamo nello stesso Palazzo, la cui edificazio­ne risale agli anni Sessanta del secolo scorso. Qui sono entrato per la prima volta come magistrato il 2 gennaio 1973 e mi dissero: “È una sede provvisori­a”. La sede non è cambiata. Sta di fatto che ci sono problemi di spazio. E di sicurezza. I colleghi magistrati di altri Paesi sono sempre rimasti sorpresi: “Perché la vetrata del tuo ufficio non è blindata?”.

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TI-PRESS/FRANCESCA AGOSTA Ora una vacanza in Giappone. Poi? ‘Riprenderò a studiare...’

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