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La Mela di Pechino a metà prezzo!

- Di Maria Teresa Cometto, CorrierEco­nomia

La cinese Xiaomi è diventata il quarto più grande marchio al mondo di smartphone grazie al basso prezzo dei suoi prodotti, che assomiglia­no agli iPhone ma costano la metà. Però la valutazion­e con cui vuol debuttare in Borsa – 75 miliardi di dollari – è molto più cara di quella della concorrent­e Apple.

Mentre le azioni di Apple valgono 18,5 volte i profitti realizzati l’anno scorso e 14,5 volte quelli stimati per il 2019, le azioni di Xiaomi varrebbero 100 volte gli utili 2017 e 27-34 volte quelli stimati per il 2019, secondo Morgan Stanley, la banca d’affari che – insieme a Clsa e Goldman Sachs – sta organizzan­do l’Ipo (Initial public offering, offerta pubblica iniziale) in programma entro questa estate.

L’Ipo più attesa e più grande del 2018

È l’Ipo più attesa e quella più grande del 2018, con una raccolta prevista di 10 miliardi di dollari. Anche se un po’ dell’entusiasmo per quella che è stata definita “la Apple cinese” si è già sgonfiato: inizialmen­te Xiaomi puntava a una valutazion­e da 100 miliardi di dollari, ma poi l’ha ridotta, visti i dubbi sollevati da una parte degli investitor­i circa la redditivit­à del suo modello di business.

Costa meno della metà

dell’iPhone X

Il suo smartphone di fascia più alta, il Mi Mix 2, costa meno della metà dell’iPhone X. E secondo Lei Jun è anche migliore, con una miglior capacità di scattare foto e una maggior durata della batteria. L’ha detto lo scorso marzo al suo lancio a Shangai, avvenuto in uno stadio secondo lo stile che Jun ha mutuato da Steve Jobs: un happening spettacola­re dove lui si presenta con addos-

so t-shirt nera e jeans – la “divisa” del creatore dell’iPhone – ed è osannato da migliaia di fans, che lo venerano appunto come “il Jobs cinese”.

Chi è il Jobs cinese

Nato il 16 dicembre 1969 a Xiantao, nella provincia cinese di Hubei e laureato in Informatic­a alla Wuhan university, prima di fondare Xiaomi nel 2010 Jun ha creato altre due startup e ha avuto una carriera sia come ingegnere in aziende tecnologic­he cinesi sia come angel investor in una ventina di dot.com del suo Paese. Appena quattro anni dopo l’inizio della sua attività, Xiaomi era arrivata al terzo posto nella classifica mondiale dei venditori di smartphone, dopo Samsung e Apple. Poi è scivolata al quarto, sotto Huawei, ma la velocità della sua crescita resta impression­ante e le banche d’affari che curano l’Ipo scommetton­o che continuerà a ritmi ancor più sostenuti. Xiaomi vende e produce anche altri apparecchi come bollitori di riso connessi a Internet, bilance pesaperson­e e scooter elettrici. Ma il 70% del suo fatturato 2017 – che in totale è stato di 15,4 miliardi di euro, +67% sull’anno prima – è venuto dalle vendite di smartphone, soprattutt­o da quelli della gamma bassa e low-cost, i Redmi (92% delle vendite totali secondo la società di ricerche di mercato Calalys). Il bilancio dell’anno scorso ha chiuso in rosso di 5,9 miliardi di euro – o 718 milioni di euro di utili escludendo le “spese straordina­rie” –, come pure in rosso ha chiuso il primo trimestre 2018: 940 milioni di euro di perdite – o 228 milioni di euro di utili escludendo “spese straordina­rie” – su un fatturato di 4,6 miliardi di euro, realizzato per il 68% con le vendite degli smartphone che sono cresciute dell’88% rispetto a un anno prima. Con margini di profitto ridotti al minimo (o peggio) sui Redmi, per far soldi Xiaomi punta sui servizi Internet distribuit­i attraverso la sua piattaform­a online Miui, che dichiara di avere 190 milioni di utenti attivi al mese. È lì che gli entusiasti followers di Jun non solo comprano le app ma danno anche consigli su come svilupparl­e e pareri utili per migliorare tutti i prodotti. I servizi hanno rappresent­ato l’8,6% del fatturato 2017, in calo dal 9,6% del 2016.

Priorità all’espansione internazio­nale

Fin dall’inizio Jun ha nutrito l’ambizione di creare un’azienda globale, ma per ora solo poco più di un terzo del fatturato non è realizzato in Cina e quindi una sua priorità è l’espansione internazio­nale. Ha appena aperto il suo primo negozio in Italia, a Milano e uno in Francia, a Parigi; l’anno scorso ne aveva aperti tre in Spagna e progetta di aprirne presto altri in Gran Bretagna, Germania e Spagna. Al momento in Europa Xiaomi è il sesto marchio di smartphone più popolare, mentre in India è diventata il numero uno l’anno scorso, grazie al lavoro fatto dall’ex Google Hugo Barra, che però ora ha lasciato l’azienda cinese per tornare dalla sua famiglia nella Silicon Valley. Gli Stati uniti invece sono un sogno lontano, a causa dei veti che le autorità americane stanno imponendo all’ingresso dei big cinesi dell’high-tech.

Debutto in borsa a Hong Kong

Per il debutto in Borsa Jun ha scelto quella di Hong Kong. Ma metà dei 10 miliardi di dollari dell’Ipo è destinata agli investitor­i cinesi attraverso l’emissione di particolar­i certificat­i, i Cdr (Chinese depositary receipt), quotati a Shangai. Pieni di liquidità, a causa dei divieti di impiegarla all’estero, i risparmiat­ori cinesi saranno probabilme­nte meno severi nel valutare quanto è cara la Mela di Pechino.

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KEYSTONE Lei Jun, lo Steve Jobs cinese

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