Wall Street, ancora tanto ottimismo
Nel ritornato ottimismo di Wall Street c’è un pizzico di virtù e molto demerito altrui
Se l’indice S&P è cresciuto nelle ultime 6 settimane del 6% lo si deve alla tenuta attorno ai massimi dell’economia americana, sicché il Pil è previsto crescere nel trimestre del 4,5% (stima della Fed di Atlanta); ma ci sono soprattutto il forte rallentamento della crescita europea, che va oltre le aspettative, e quella che appare come un’incipiente crisi dei paesi emergenti: un po’ per il dollaro che s’è rafforzato e un po’ per i tassi d’interesse statunitensi ancora in deciso rialzo. Da inizio maggio, a fronte di disinvestimenti nel settore azionario europeo per parecchi miliardi (di cui almeno 4 nei soli Etf, secondo i dati di BlackRock), si sono visti flussi positivi per parecchie decine di miliardi (una ventina nei soli fondi azionari) sulle borse americane, accentuati nelle ultime settimane da chi s’è affrettato a ricoprire le posizioni al ribasso, come sostiene Goldman Sachs. Nella stessa direzione si sono mossi anche gli investimenti obbligazionari, poiché, se i problemi italiani hanno reso ancor più timorosi gli operatori sui titoli di stato europei, dall’altro hanno cominciato a chiudersi le inla
genti posizioni ribassiste sui Treasury, come suggerirebbe il rendimento del decennale americano costantemente sotto il 3%, pur con la Fed rivelatasi più aggressiva del previsto.
Sospetto di eccessiva esuberanza
Come spesso accade in simili circostanze, c’è il sospetto che l’esuberanza sia eccessiva e lo dimostrerebbe l’ottimismo dei singoli investitori (come lo misura l’American Association of individual
Investor), che ha raggiunto i livelli estremi d’inizio febbraio (prima della correzione, quindi), e gli acquisti fatti a debito (margin debt) ormai prossimi al record di 665 miliardi toccato a gennaio: 652 miliardi, secondo l’ultimo dato disponibile di aprile, cui andrebbero aggiunti quelli delle ultime sei settimane. Non a caso l’S&P è quasi tornato sui massimi storici (manca ancora un 3%) e l’indice Vix, ossia l’indicatore che, calcolando la volatilità delle opzioni, dovrebbe dare misura del rischio azionario, è tornato a 12, un solo punto sopra il livello d’euforia misurato a gennaio.
Investitori, ritorno sui bond
Completa il quadro, il ritorno degli investitori sui bond a più alto rendimento, proprio mentre si rafforza il sordo timore di non essere molto lontani dalla prossima recessione (data per assai probabile da Jeffrey Gundlach nel 2020 e paventata dal 74% degli operatori sul reddito fisso sondati da BofA) e quando i tassi d’interesse potrebbero salire più del previsto, come ha lasciato intendere la Fed mercoledì scorso.
Schizofrenia degli investitori
L’ultimo sondaggio mensile di Bank of America dà la misura della latente schizofrenia degli investitori. Dei 235 gestori intervistati (insieme amministrano un patrimonio di 684 miliardi di $), il 42% ritiene che le società americane siano sovra indebitate, ben più di quanto si pensasse nel 2008 (32%), ma si continua a investire proprio nelle aziende con il peggior rapporto tra patrimonio e debito. E, mentre solo l’1% è convinto che si rafforzi la crescita economica mondiale nei prossimi 12 mesi, tutti stanno aumentando il peso delle azioni nei loro portafogli e pure quello delle materie prime. E, pressoché in gregge, gli investitori si muovono nuovamente verso i titoli tecnologici (Facebook, Apple, Amazon, Netflix, Google, più Baidu, Alibaba e Tencent), come se fossero ritenuti meno rischiosi degli altri.
Tutti stanno aumentando il peso di azioni e materie prime nei loro portafogli. E si muovono nuovamente verso i titoli tecnologici (Facebook, Apple, Amazon, Netflix, Google, più Baidu, Alibaba e Tencent), come se fossero ritenuti meno rischiosi degli altri. Ma ora Trump sta mettendo in pratica una guerra commerciale...
Infine, mentre si dichiara che il maggior rischio è la guerra commerciale minacciata da Trump, sembrano nei comportamenti non curarsene, proprio mentre il presidente Usa comincia a metterla in pratica.
Europa scenario opposto
Opposto è lo scenario in Europa, fotografato sempre da BofA: gli operatori del credito sono timorosi su tutto, spiega l’analista Barnaby Martin: su una nuova crisi dei debiti sovrani innescata dall’Italia (50% degli intervistati), sulla fine del quantitative easing (50%), l’esplodere dei partiti populisti (30%) e un’eventuale guerra doganale. Quanto all’economia, la prospettiva di una recessione in Europa sarebbe ancor più vicina che negli Stati Uniti.