Le radici dell’incomprensione
La retorica della tradizione e dell’identità al centro dell’attuale saggio di Maurizio Bettini
Disorientati dalla globalizzazione, si cerca nella tradizione e nelle proprie ‘radici culturali’ un’identità forte da usare contro gli altri. Ma, spiega Bettini nel suo libro, confondere memoria personale e collettiva è un errore che ci impedisce di comprendere il problema.
In questi giorni di discussioni – spesso degeneranti in zuffe verbali – sul soccorso e l’accoglienza dei migranti, si assiste spesso a un rivelatore “doppio appello” alle radici cristiane dell’Europa, curiosamente fatto proprio non solo da persone a vario titolo religiose, ma anche da laici più o meno atei. Radici cristiane negate da chi sostiene e approva i respingimenti e il pugno di ferro con le Ong che soccorrono i rifugiati nel Mediterraneo; ma, al contempo, minacciate da quelle persone che appartengono ad altre fedi e tradizioni la cui presenza rischia di cancellare la nostra cultura. Le radici cristiane diventano ora solidarietà da praticare, ora identità da difendere. Due prospettive incompatibili che suggeriscono come qualcosa – a livello retorico e concettuale – non torni. Ed è dunque interessante andare a leggere il bel saggio del filologo e antropologo Maurizio Bettini ‘Radici. Tradizione, identità, memoria’, versione ampliata del precedere ‘Contro le radici’ (entrambi pubblicati dal Mulino). Bettini non solo smonta la retorica delle radici, religiose o culturali che siano, mostrandone i limiti – che qui possiamo riassumere con la fissità delle radici, necessarie per sostenere e sostentare l’albero, quando le tradizioni sono invece fluide e vivono non grazie al passato, ma al presente – ma affronta anche il concetto di identità che da un po’ di tempo sembra essersi imposto nel dibattito sociale e politico. Questo perché, argomenta Bettini, siamo disorientati dalla progressiva omologazione fra Paesi e culture: “Se a Parigi e a Roma si sbarca in aeroporti indistinguibili fra loro, se per strada si vedono passare le medesime automobili e sul marciapiede si ascoltano identici squilli di telefonini, dove sta più la differenza fra queste due città?”. Omologazione che non sembra riguardare gli immigrati che al contrario ci appaiono sempre “altri”, irriducibilmente diversi e tenace-
mente attaccati alla propria identità. La reazione è quindi cercare nella tradizione – “nelle nostre radici”, appunto – ciò che ci distingue dagli altri e affermare con forza questa antica identità contro gli altri. Ora, se da una parte non si può nascondere che la coabitazione di culture diverse produce disagi e conflitti, situazioni anche “molto difficili da vivere e […] da governare” – come scrive Bettini nella seconda parte del saggio –, dall’altra non ci si può illudere che il richiamo alle radici costituisca una soluzione, perché se la retorica dell’incontro tra culture è spesso stonata, quella delle radici impedisce addirittura di comprendere il problema confondendo “la memoria
privata con quella collettiva, l’antropologia con la nostalgia e la storia con la politica”. Vale la pena spendere qualche parola su questi tre fraintendimenti. Sulla memoria, Bettini puntualizza che la memoria collettiva, quella che caratterizza un gruppo, è una costruzione sociale, un modo in cui la comunità – oggi – rilegge il proprio passato. In altre parole, “si ricorda perché si vuole ricordare, e si ricorda quello che – per vari motivi – si decide di ricordare”, e dimenticando, quindi, gli aspetti che non rientrano nella propria narrazione, come la carità o la lotta agli infedeli per gli opposti difensori delle radici cristiane dai quali si è partiti. Diversa, quindi, dalla memoria personale, ad esempio dai ricordi d’infanzia di Bettini stesso che, nel saggio, rievoca con nostalgia la Piazza Garibaldi di Livorno dove è cresciuto. Nobile sentimento, la nostalgia, ma che non va confusa con l’antropologia, perché un conto è quel particolare momento nella storia di una città, verso il quale è lecito provare attaccamento, un altro è la stratificata storia, in continua evoluzione, di un luogo. Quanto alla confusione tra storia e politica, è abbastanza semplice da spiegare: è quella tipica di chi grida alla difesa delle radici culturali solo per guadagnare voti sfruttando i problemi creati dall’immigrazione.