laRegione

‘Arbitro, mi sono fatto la bua’

- Di Beppe Donadio

È presto per dire se sarà un bel Mondiale, dopo il 3 a 3 tra cugini della Penisola iberica e la zuccata di Steven Zuber. Di certo c’è che Germania, Argentina e Brasile non saranno mai tanto brutti quanto il Telstar di Adidas, pallone ufficiale di Russia 2018 (il Tom Hanks di ‘Cast away’ non ci avrebbe scambiato due parole). Nel Mondiale del Ronaldo innamorato di sé, che a ogni azione si specchia negli schermi dello stadio, spicca la già europea abitudine per la quale un giocatore di calcio, quando sfiorato da un avversario, si schianta al suolo come abbattuto da un jet nemico. È la Sindrome di Neymar, morbo che non affligge più soltanto i cercatori di calci di rigore (fino all’avvento del brasiliano, la sindrome era detta ‘di Inzaghi’), ma pure centrocamp­isti e difensori ovunque nel campo. Picco sintomatic­o, il giocatore che perde la palla in attacco: accasciato sull’erba, battendo a volte la mano per terra come preso da sincope, cerca di vanificare la ripartenza degli avversari obbligando­li a buttare fuori il pallone grazie all’insinuazio­ne del senso di colpa. La sindrome di Neymar investe, in verità, anche altre discipline come il tennis, con il fisioterap­ista che massaggia i muscoli di chi si trova giusto a un passo dal baratro. Esente da furbate è il rugby, sport nel quale l’accasciars­i come un cinghiale ferito senza motivo è da sfigati. Russia 2018 resterà il Mondiale della goal-line technology contro i fantasmi di Wembley ’66 e, ancor più, il Mondiale del Video Assistance Referee (o Var), a dirci che non sempre “rigore è quando arbitro fischia” (Vujadin Boškov, 1931-2014). In questo slancio innovativo da parte di uno sport che aveva nell’arbitro il suo unico Signor Malaussène al quale addossare sventure e incapacità proprie, si attende l’avvento del “Frignometr­o”, una qualsivogl­ia tecnologia pilotata da un team di psicoterap­euti capaci di smascherar­e i frignoni del rettangolo di gioco. Quelli che, creduti morti, improvvisa­mente si rialzano e si rimettono a correre come Lazzari ai quali è stato appena restituito lo scopo unico e ultimo di questo sport non sempre onesto: metterla nel sacco, costi quel che costi.

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