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Altro che Mosca cieca, da lì vedono tutto

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Massimilia­no Irrati, Daniele Orsato (italiani), Mauro Vigliano (argentino) e Carlos Astroza (cileno). È questo il team internazio­nale entrato nella storia come primo Var (Video Assistant Referee) a una Coppa del mondo, giovedì scorso nel match inaugurale tra Russia e Arabia Saudita. Sì perché se spesso ci si riferisce al Var come tecnologia, non bisogna dimenticar­e che in realtà dietro a ogni decisione ci sono appunto delle persone. Tredici arbitri per la precisione, selezionat­i per l’esperienza con il nuovo sistema e dopo la partecipaz­ione a numerosi seminari e competizio­ni Fifa, che per tutto il Mondiale si occupano esclusivam­ente del Var. Nel dettaglio, ad ogni partita quattro di loro siedono nella Vor (Video Operation Room) del centro stampa di Mosca, dove grazie alla fibra ottica possono visionare all’istante le immagini provenient­i dalle 33 telecamere posizionat­e in ogni stadio. Ognuno ha un ruolo preciso: il Var è l’unico in contatto diretto con l’arbitro di campo; l’Avar1 continua a seguire sugli schermi il gioco così da non perdere nulla nei momenti in cui il Var principale è impegnato in un silent check (controllo silenzioso) per valutare l’eventuale segnalazio­ne all’arbitro; l’Avar2 si occupa unicamente del fuorigioco e ha a disposizio­ne telecamere aggiuntive; l’Avar3 è una sorta di sovrintend­ente. Da sottolinea­re come questo team può supportare l’arbitro del match unicamente per quattro situazioni: si possono correggere o controllar­e solo rigori, gol viziati da irregolari­tà, espulsioni dirette e scambi di persone sui cartellini. Alla fine però è sempre l’arbitro in campo a decidere se fidarsi del Var o andare a visionare in prima persona le immagini.

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KEYSTONE Un gesto ormai noto

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