Eccellenza! Eccellenza!
Nel dibattito assurdo e un po’ grottesco sul futuro (istituzionale) del Cardiocentro, farcito di enfasi e superlativi, una parola ricorre più di tutte: eccellenza. Ormai mette i brividi, non se ne può più. L’eccellenza è il più alto livello qualitativo raggiungibile che rasenta la perfezione. Eccellenza è anche un titolo onorifico medievale riservato a sovrani ed alti prelati. Ma in questo Cantone, con un passato di baliaggi non così lontano, la parola eccellenza riecheggia nei nostri corridoi più che in quelli del Vaticano, come sentenziò con una folgorante battuta l’amico patologo Prof. Mazzucchelli alla prima giornata (...)
Segue dalla Prima (...) della ricerca clinica della Svizzera italiana. Capolavoro di eccellenza, eccellenza sanitaria, collaborazioni eccellenti non sono solo slogan dei tifosi del Cardiocentro (Cct); anche i comunicati dell’Ente Ospedaliero Cantonale (Eoc), in profumo universitario di Master Medical School, diventano sempre più pomposi. In questo clima di euforia generale politici e dirigenti annunciano solennemente tutte queste nostre “eccellll…enze”, deformando la bocca come nell’“Urlo” di Munch. Altra parola… da urlo: centro. Cardiocentro, Neurocentro… è tutto un proliferare di centri medici, centri pediatrici, centri di competenza e centri di… eccellenza (sigh!). Sì, in effetti siamo molto egocentrici, siamo l’ombelico del mondo, che è il nostro nuovo… baricentro! Nello scontro tra Cct ed Eoc, in un rinnovato clima da guerra fredda, rullano i tamburi con grandi titoli sui giornali in occasione di ogni acquisto di una nuova e costosa apparecchiatura, di ogni pubblicazione scientifica e di ogni titolo accademico o altra onorificenza. Molte medaglie (e alcune patacche) da appiccicare in bella mostra al camice bianco, da fare invidia ai generali della vecchia Unione Sovietica. “Dottor Professor truffatore imbroglione” cantava il grande Fabrizio De André nel suo “Un medico”.
Basta con le autocelebrazioni
Finiamola tutti quanti con queste stucchevoli autocelebrazioni. Non dico di coprirsi il capo di cenere, ma neppure d’incenso e di corone d’alloro. “In medio stat virtus” dicevano saggiamente i filosofi latini. L’orgoglio e l’entusiasmo per i traguardi della medicina sono legittimi, ma vanno temperati, senza cullarci nell’illusione di una medicina onnipotente, tecnologica e infallibile. Sappiamo invece che molte malattie sono tuttora inguaribili, che anche in Svizzera si può ancora morire d’influenza stagionale o di polmonite, che dolore e sofferenza non sono scomparsi dai nostri ospedali, che lasciamo diverse “vittime collaterali” sulla scia dei nostri interventi terapeutici… Stiamo quindi con i piedi per terra e ricordiamoci la fine di Icaro quando volò troppo in alto. Invece d’intrattenere pubblicamente questo pietoso e dispendioso combattimento di galli – o meglio di pavoni – dovremmo finalmente unire le forze dei nostri piccoli ospedali, istituti e centri. Cercando di fare ognuno del proprio meglio nella cura del malato e, secondo possibilità, di dare eventualmente anche un piccolo contributo alla scienza. Senza squillare ogni volta la tromba. Ricordandoci piuttosto di valori preziosi come la modestia e la sobrietà. Detto con le parole di Igino Ugo Tarchetti in Fosca “la virtù non ha fiori, ma ha frutti”.