Mini al governo: quella mia frase non era scorretta
“Mi sono posto il quesito a sapere se dovessi fornire delle delucidazioni, con riferimento alla separazione dei poteri e alla libertà di opinioni, valore quest’ultimo per me imprescindibile, sia nella vita privata, sia in quella professionale. Per i buoni rapporti istituzionali ho deciso comunque di farlo”. E così il giudice Mauro Mini risponde alla richiesta di spiegazioni. Spiegazioni sollecitate dal Consiglio di Stato in seguito alle dichiarazioni del magistrato nel suo primo intervento pubblico in veste di presidente del Tribunale d’appello lo scorso 28 maggio in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2018/2019. Mini aveva esordito accennando al caso dei rimborsi del governo. Una vicenda che, secondo il giudice, avrebbe visto “un Gran Consiglio che non ha brillato per controlli e verifiche” e “una magistratura che poteva essere forse più coraggiosa” (cfr. la ‘Regione’ del 29 maggio). “Va premesso – scrive il neopresidente del Tribunale d’appello – che nel mio intervento ho espresso delle opinioni personali, come correttamente ha inteso il direttore del Dipartimento delle istituzioni presente in sala”. Un intervento all’apertura dell’anno giudiziario “ha, per sua natura, carattere pubblico, e quindi anche politico”, aggiunge il giudice nella lettera (anticipata mercoledì dalla ‘Rsi’) indirizzata al governo. Quanto al “passaggio principale, cui fate riferimento nel vostro scritto, contiene i termini ‘poteva’ e ‘forse’. L’utilizzo di questi termini esclude che la frase possa essere qualificata di scorretta”. La frase, continua Mini, “non ha mancato di rispetto al Procuratore generale (John Noseda, ndr) che ho peraltro interpellato (e con il quale ho da sempre avuto un rapporto diretto e franco). Neppure ritengo che, così come formulata, la frase possa in un qualche modo aver leso la presunzione di innocenza” dei consiglieri di Stato. “Il termine ‘coraggioso’ – prosegue il giudice – è riferito sia alle modalità di conduzione dell’inchiesta (con un prematuro abbandono, che ha poi comportato una riapertura del procedimento), sia alla difesa del ruolo e della funzione della magistratura (rispetto alle critiche espresse sull’operato del Ministero pubblico), in una vicenda delicata”.