Prepensionamento nell’edilizia, il padronato faccia la sua parte
Una pensione dignitosa a partire dai 60 anni dopo essersi spaccati la schiena sui cantieri per decenni non è né un lusso né un privilegio, ma una questione di rispetto della dignità e della vita di lavoratori. La difesa del pensionamento anticipato nell’edilizia, al centro della mobilitazione sindacale che vedrà come prossima tappa una grande manifestazione a Zurigo (sabato 23 giugno), non è dunque «un tema di cui i sindacati si servono per far polemica e portare la gente in strada», come sostiene il direttore della Società svizzera impresari costruttori Ssic Sezione Ticino Nicola Bagnovini in un contributo (apparso martedì 19 giugno su questo giornale). Stiamo infatti parlando della più importante conquista degli ultimi decenni su cui i lavoratori edili non sono disposti a cedere. Frutto di un’intesa tra le parti raggiunta 15 anni fa, il prepensionamento a 60 anni non può essere messo in discussione solo perché vi sono alcuni problemi di finanziamento legati al pensionamento della generazione del baby-boom. Problemi dunque temporanei per i quali il sindacato, contrariamente a quanto sostiene Bagnovini, ha formulato delle proposte concrete atte a risolverli. Esse prevedono che una parte dei costi per il risanamento finanziario vadano a carico dei lavoratori, i quali sono dunque disposti a fare la loro parte. Ora tocca al padronato fare la sua, smettendola di piangere miseria. Del resto, il contributo che gli si chiede è minimo: 6’000 franchi all’anno per un’impresa di 40 lavoratori. Sarebbe questo forse un aggravio insostenibile che renderebbe la vita impossibile alle imprese elvetiche? Sostenerlo è semplicemente ridicolo. La Ssic, invece di lasciarsi andare ad attacchi di stampo ideologico al prepensionamento nell’edilizia, che si è sempre dimostrato un modello di successo, farebbe bene ad occuparsi dei problemi reali di un settore dominato dalla “guerra dei prezzi” e dal lavoro sottocosto che nuocciono innanzitutto alla manodopera.