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Il miracolo economico è diventato un boomerang

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Istanbul – Era il suo vanto, è il suo handicap. L’economia turca, sulla cui crescita Recep Tayyip Erdogan ha edificato le proprie fortune politiche (conquistan­dogli i favori anche di chi sgradiva il suo bigottismo) è oggi il suo punto vulnerabil­e. Ancora all’inizio dell’anno, per i turchi il primo problema da affrontare era “il terrorismo”. Ora, uno su due indica l’economia o la disoccupaz­ione. Negli ultimi due mesi, da quando sono state indette le elezioni, la lira turca ha perso circa il 20% contro dollaro ed euro. Per un Paese che continua a importare buona parte dei beni di consumo, un disastro. L’inflazione è stabilment­e sopra il 10%, come la disoccupaz­ione. Un giovane su cinque è senza lavoro. Il momento più drammatico a metà maggio, quando Erdogan, intervista­to da Bloomberg, aveva promesso di mettere sotto controllo la Banca centrale, per costringer­la ad abbassare i tassi d’interesse. In poche ore, la valuta turca era scesa ai minimi storici, costringen­do Ankara a rialzare i tassi di 425 punti base. Un apparente ripensamen­to, smentito dallo stesso Erdogan: “Se vogliamo rafforzare gli investimen­ti, dobbiamo farlo attraverso bassi tassi di interesse. Non dovrei parlare di questo prima delle elezioni? Io devo dire la verità”. I mercati non ne sembrano affatto rassicurat­i. “La crescita turca è drogata”, ha detto all’Ansa l’analista finanziari­o di un’importante istituzion­e internazio­nale in Turchia. Nel primo trimestre dell’anno, il Pil è salito del +7,4%, in linea con la performanc­e del 2017. Ma nello stesso periodo, il deficit delle partite correnti è raddoppiat­o: se cresce l’export, l’import cresce molto di più. Nei settori cruciali come edilizia e manifattur­a, le banche continuano a prestare soldi a basso costo, ma per le aziende restituirl­i è sempre più difficile. I loro debiti superano i 220 miliardi di dollari, in patria e all’estero. La fiducia delle agenzie di rating continua a calare, e così anche quegli investimen­ti esteri che avevano fatto la fortuna della Turchia. “La questione – suggerisce ancora l’analista – non è quando questa crescita finirà, ma quanto brusca sarà la caduta”.

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