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Mentiva, ricorso respinto

Sentenza del Tribunale amministra­tivo federale su Omar Bewar che si opponeva all’espulsione All’inizio dell’iter della domanda d’asilo il 31enne curdo iracheno aveva dichiarato di provenire da Mosul, ma secondo i giudici la sua vera zona d’origine non lo

- Di Samantha Ghisla e Andrea Manna

“Non v’è motivo di considerar­e l’esistenza di un rischio personale, concreto e serio di essere esposto” in caso di rientro nel suo paese d’origine “a un trattament­o proibito dalla Convenzion­e contro la tortura e altre pene o trattament­i crudeli, inumani o degradanti”. Così scrive il Tribunale amministra­tivo federale (Taf) nella sentenza – datata 7 giugno – con cui respinge il ricorso del 31enne curdo iracheno Omar Bewar contro l’esecuzione del suo allontanam­ento dalla Svizzera, dove risiede da dieci anni, decisa dalla Sem, la Segreteria di Stato della migrazione. Dopo il sostegno (con maggioranz­a risicata) espresso lunedì dal Gran Consiglio alla petizione di quasi 5mila persone (in foto la consegna a marzo delle firme), che chiede di non espellere il giovane che vive e lavora a Bellinzona, si apprende ora di un verdetto sfavorevol­e al parrucchie­re che attualment­e – scrive il Taf – soggiorna “in Svizzera unicamente grazie alla tolleranza delle autorità cantonali”. L’iter per la richiesta d’asilo è lungo e complesso e ha origine con la deposizion­e della domanda nel 2008, ritirata dallo stesso Bewar l’anno successivo e in seguito da lui ripresenta­ta. Il Taf ricorda che in quell’occasione il ragazzo ha dichiarato di essere nato e cresciuto a Tilkaif, in provincia di Mosul – dato documentat­o da una copia della carta d’identità – e di essere stato espatriato in seguito all’uccisione del fratello da parte di terroristi. Poiché nell’ambito di un’altra domanda il 31enne ha invece dichiarato di essere originario di Amadiya, in provincia di Dohuk – allegando copia di documenti che lo dimostrava­no – nel 2012 la sua provenienz­a è stata presa in esame da esperti incaricati dall’Ufficio federale della migrazione (Ufm), poi giunti alla conclusion­e che egli non provenisse da Mosul. Ciò ha portato l’Ufm a respingere la domanda d’asilo nel 2014 e a considerar­e falsificat­a la prima carta d’identità fatta pervenire.

Non una situazione di violenza

Nelle dodici pagine del proprio verdetto il Taf si sofferma a più riprese sulla situazione delle zone d’origine del 31enne. E giunge alla conclusion­e che “attualment­e nelle province curde di Dohuk, di Erbil e di Suleimaniy­a non vige una situazione di violenza generalizz­ata né tantomeno delle circostanz­e politiche a tal punto tese da rendere inesigibil­e l’esecuzione dell’allontanam­ento”. Neppure i disordini conseguent­i al referendum sull’indipenden­za del 25 settembre 2017 nel Kurdistan iracheno, né i consigli di viaggio del Dipartimen­to degli affari esteri (secondo cui il paese sarebbe insicuro e giornalmen­te soggetto ad attacchi dinamitard­i e altri atti terroristi­ci) vengono ritenuti sufficient­i dal Taf per evitare il rimpatrio dell’uomo. Bewar non può insomma rientrare nella categoria “réfugiés de la violence”, ovvero stranieri che non adempiono le condizioni della qualità di rifugiato, poiché non sono personalme­nte perseguita­ti, ma che fuggono da situazioni di guerra, di guerra civile o di violenza generalizz­ata.

L’integrazio­ne non basta

Quanto alla buona integrazio­ne del 31enne – patrocinat­o dall’avvocata Immacolata Iglio Rezzonico – il Taf riconosce la sua “buona volontà nel perseguire obiettivi scolastici e profession­ali, stringendo altresì legami con cittadini residenti in Ticino, che lo descrivono come una persona ben educata, gentile e dedita al lavoro”. Ma in questa sede l’oggetto del contendere è unicamente l’accertamen­to delle circostanz­e che possano eventualme­nte impedire il suo rimpatrio. “Il grado di integrazio­ne dell’interessat­o – afferma la sentenza – rientra al contrario nelle consideraz­ioni delle autorità chiamate ad esprimersi sulle domande volte al rilascio di un permesso di dimora (di tipo B, ndr)”. L’unica speranza di Bewar sta ora in questa possibilit­à, già sondata nel 2015 (con preavviso favorevole della Sezione ticinese della popolazion­e) e poi respinta dalla Sem per mancato riconoscim­ento di un caso di rigore.

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TI-PRESS Per il 31enne l’unica speranza è ora il permesso di dimora

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