Crêuza de mä
Microcosmi / Sguardi sulle cose che cambiano, nel territorio e nelle persone
Quando siamo venuti qui eravamo ‘gli stranieri’. A partire dalle seconde generazioni c’è stata un’integrazione sotto tutti i punti di vista.
In viaggio fra circoli culturali in Ticino, ricostituendo mosaici di storie che attraversano i decenni, ecco il Gruppo dei liguri, 40 anni in un soffio...
Quella lunga striscia che è la Liguria, presa tra il suo mare e l’entroterra, tra l’odore della salsedine e qualcosa di unico come il colore del cielo, le parole che si ascoltano nei caruggi quando alzando la testa vedi i panni appesi fuori da quelle case alte, mi fanno tornare al bel libro di Nico Orengo, ‘Il salto dell’acciuga’. I percorsi verso il Piemonte e gli acciugai della Val Maira, commerci, scambi, il profumo dell’elicriso. I contrabbandieri, i limoni. Quelli di Montale; “… qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza/ed è l’odore dei limoni…”. E la Genova di Giorgio Caproni, “La mia città degli amori in salita/Genova mia di mare tutta scale…”. Oggi, lontani dal paesaggio ligure è un altro paesaggio. A Ponte Capriasca, incontro il presidente del Gruppo Liguri in Ticino, Andrea D’Adda, custode de ‘l’Ultima cena’, affresco visibile nella locale chiesa di Sant’Ambrogio, uomo di interessi ad ampio spettro, genovese come la moglie Wilma, arrivato in Ticino per motivi professionali e che qui ha dedicato molto tempo alle attività che animano il gruppo su più fronti. «Sono genovese, nato nel ’44. Dopo gli studi tecnici in elettronica entro alla Philips, prima a Genova poi a Milano; gli anni della televisione a colori. Per questo, conosco degli svizzeri che frequentavano dei corsi e così è nata una proposta di lavoro per un’azienda in Ticino, che ho accettato. Era il ’67». Tornate nella vostra città? «Sì. L’abbiamo lasciata presto, ci sono gli amici, i ricordi. È cambiata com’è cambiato tutto; se penso a quando siamo venuti qui eravamo ‘gli stranieri’. A partire dalle seconde generazioni c’è stata un’integrazione sotto tutti i punti di vista. Sono legato al mio paese, ho la cittadinanza italiana, ma provo grande rispetto per le istituzioni svizzere, per la gente e la sua storia».
I primi passi del gruppo? «Qualche volta andavo a cena con dei liguri: perché allora non creare un’associazione? Esistevano già il ‘Fogolar Furlan’, gli Alpini, altri circoli. Nel ’78, un milanese di origini genovesi, l’avvocato Franco Bozzo, ospite a radio mattina riceve delle telefonate che parlano proprio di questa idea. Allora, lo stesso anno, al ristorante Huguenin di Lugano inventiamo la ‘Cena dell’amicizia’, senza formalità. Dopo due settimane, sempre da Huguenin, nasce il Gruppo Liguri in Ticino. Vengo nominato vicepresidente, con Giancarlo Monterosso alla presidenza, violinista che aveva vinto il diploma al concorso Paganini. Un profilo di valore internazionale e lui faceva un concerto all’anno a nostro favore;
il resto del lavoro lo seguivo io. Dopo cinque anni la mia nomina». Un compito stimolante. «Gradualmente, anche italiani non liguri e svizzeri si sono avvicinati a noi. Siamo arrivati al quarantesimo e ritengo sia stata una bella esperienza; un’attività ricca, molteplice, fino a raggiungere 80 soci». Punti fermi? «La cena degli auguri prima di Natale, momento delle ricorrenze e l’invito a un ospite, dalla politica alla cultura, dalla medicina alla religione. Il prossimo sarà Marco Codenotti, che ci parlerà della chirurgia vitreoretinica. Una cena che replichiamo in occasione dell’assemblea annuale, dentro uno spirito di convivialità e partecipazione. Poi, i viaggi». Dove? «Quasi tutta l’Italia, da quelli brevi a quelli più lunghi. Quest’anno, durante una gita un nostro socio ha finanziato il restauro della ‘Resurrezione’ di Piero della Francesca, a Sansepolcro. E i teatri, i maggiori d’Italia, frequentando assiduamente la lirica, con una predilezione personale per Puccini». Mentre arriva la signora Wilma con un buon caffè, l’occhio va alla pubblicazione dei trentacinque anni del gruppo, in copertina il dipinto ‘Portovenere’ di Vera Tamburini. Barche, mare. Ripenso all’album di Fabrizio De André, ‘Crêuza de mä’, l’increspatura tipica del mare data da qualche gorgo e corrente. “Umbre de muri de mainé, dunde ne vegnì duve l’è ch’ané”…