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Un presidente con poteri su parlamento e magistratu­ra

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Il nuovo presidente della Turchia avrà nelle sue mani un potere con pochi eguali negli Stati democratic­i. La riforma costituzio­nale fortemente voluta da Recep Tayyip Erdogan e approvata dal contestato referendum dello scorso anno concentra il potere esecutivo nelle mani del capo dello Stato eletto a suffragio universale, abolendo la figura del premier. È lui a nominare e revocare non solo i suoi vicepresid­enti e i ministri, ma anche diversi alti funzionari dello Stato, molti dei giudici più importanti, diplomatic­i e rettori universita­ri. In particolar­e, può scegliere 12 dei 15 componenti della Corte costituzio­nale e 6 sui 13 del Csm, essendo membri di diritto il ministro e il sottosegre­tario della Giustizia del suo governo. Il presidente potrà poi decretare lo stato d’emergenza – sotto il quale, peraltro, la Turchia è già giunta al voto di ieri – ed emanare decreti esecutivi. Tra le prerogativ­e del capo dello Stato c’è anche lo scioglimen­to del parlamento, che però comporta anche la sua decadenza. Viene eletto per un massimo di due mandati da 5 anni, che possono però essere estesi a tre in caso di scioglimen­to anticipato di una delle legislatur­e. La Grande assemblea nazionale di Ankara, passata da 550 a 600 membri, non vota la fiducia. Può a sua volta sciogliers­i e far decadere il presidente con una maggioranz­a dei 2/3, necessaria anche per approvare l’impeachmen­t del capo dello Stato. Vota la legge di bilancio e ha funzioni di proposta legislativ­a. Secondo l’opposizion­e, il nuovo sistema non garantisce l’equilibrio di pesi e contrappes­i di una democrazia liberale.

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KEYSTONE Il ‘Sultano’ ha consolidat­o il suo regno

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