Borse, ‘verso la fase rialzista più lunga della storia’
Ancora due mesi e la presente sarà per le Borse la fase rialzista più lunga della storia moderna
Per Wall Street s’intende e forse per il Footsie inglese, dal momento che la crisi dei debiti sovrani nell’area euro del 2011-2012 aveva riportato gli indici ai livelli del marzo 2009, dopo la grande recessione: cosicché lo Stoxx si trova ancora sotto il picco del 2007 e, purtroppo, anche sotto il massimo del lontano marzo 2000. A fine agosto, per l’S&P 500 saranno trascorsi 114 mesi di rialzi con guadagni che si misurano in oltre il 300%: ancor lontani, se si vuole, dal 418% accumulato negli anni 90, ma pur sempre un risultato più che doppio di quello segnato dalle Borse europee (+141%). È probabile che il record di durata venga battuto a Wall Street, ma i rischi che questa quasi decennale corsa della Borsa americana possa interrompersi bruscamente cominciano ad essere considerevoli.
I due fattori di rischio: crisi italiana
e guerra commerciale Usa
Siccome nessuno è in grado di prevedere l’eventuale scoppio di una bolla sul credito (ammesso che di bolla si possa parlare), restano due grandi fattori di rischio all’orizzonte: il primo è l’acuirsi della crisi italiana (ma sarebbe un disastro soprattutto europeo e al massimo potrebbe solo raffreddare la Borsa americana); il secondo è il deflagrare della guerra commerciale iniziata da Donald Trump. Ci sono le premesse per immaginare che questa potrebbe rivelarsi un’estate molto difficile. Si può pensare che, anche nel peggiore dei casi, le conseguenze possano essere attenuate per l’America, visto che, dopo parecchi mesi di minacce e ora di tariffe doganali imposte e di ritorsioni, ha gravato su Wall Street solo una sorda preoccupazione. Ma la Borsa cinese, dopo la pesante caduta dei giorni scorsi, si ritrova con perdite del 20% dai massimi di gennaio: la soglia che gli analisti considerano inizio di un vero mercato ribassista. E siccome questa guerra commerciale sembra solo agli inizi, una possibile crisi della Borsa cinese, aggravata da un mercato del credito che desta da tempo serie preoccupazioni (il debito totale della Cina è raddoppiato negli ultimi 8 anni, sfiorando il 250% del Pil), avrebbe effetti destabilizzanti sull’intero pianeta. Se finora Wall Street non ne ha risentito è perché il mercato, ancora ebbro per i tagli fiscali di Trump, non vuol credere che il presidente americano faccia sul serio. La sua sarebbe solo una personalissima tattica diplomatica, non diversa da quella usata nei mesi scorsi con la Corea del Nord. E, come è avvenuto con Kim Jong-un, si troverà alla fine un buon compromesso o, quanto meno, una soluzione che possa venir sbandierata come vittoria agli elettori di Trump. Saremmo insomma nel pieno di una fredda guerra commerciale, giocata più con schermaglie verbali che nei fatti. Ma se davvero il presidente Trump è intenzionato a porre dazi su beni cinesi per altri 200 miliardi (e in tutto fanno 250, ossia la metà delle esportazioni di Pechino verso gli Usa) e se le autorità cinesi sono decise (…) Segue a pagina 22