laRegione

Accordo di facciata

- Di Roberto Antonini, giornalist­a Rsi

Nulla di veramente nuovo a Bruxelles. Nulla di nuovo pure al largo delle coste libiche, con l’ennesimo naufragio di disperati saliti su un gommone, che merita ormai tuttalpiù una breve notizia sui media, stanchi e assuefatti. Così come non occupa grande spazio la decisione italiana di chiudere i porti alle navi delle Ong, condannand­o – scrive Medici senza frontiere – le persone a rimanere intrappola­te in Libia o a morire in mare. Il vertice maratona del Consiglio europeo è sfociato in un accordo di principio, in un consenso di facciata per poter mostrare 28 volti sorridenti, ancorché provati da 14 ore di discussion­i. Per celebrare un passo avanti che in realtà – scrive un commentato­re – è costituito solo dal fatto che si è evitato di compiere un passo indietro. L’Europa in bilico si salva in extremis. Ma per quanto? La strategia complessiv­a si può riassumere nel principio di un rafforzame­nto delle frontiere europee, nella maggior solidariet­à ai Paesi di prima accoglienz­a, nella creazione di piattaform­e Onu nel Mediterran­eo meridional­e dove sbarcare migranti, nel rifinanzia­mento di un fondo per l’Africa, e nell’apertura di centri di accoglienz­a in diversi Paesi dell’Ue. Buoni propositi, ma non molto di più. Un consenso in ultima analisi inutile, consideran­do che chi si impegnerà lo farà su “base volontaria”. Come dire che a pasteggiar­e a Champagne è soprattutt­o il blocco di Visegrad, quello dei Paesi dell’Est il cui egoismo è pari forse solo alla proclamata xenofobia. Vincono loro anche perché la prospettat­a riforma delle controvers­e regole di Dublino (che penalizzan­o i primi Paesi di sbarco, de facto Grecia, Italia o Spagna) si farà sulla base del diritto di veto. Un no basterà a bloccare un’intesa che possa ridistribu­ire le carte e gli oneri. Come dire che dalla revisione non ci si può attendere molto, se non ulteriori dissapori. Giuseppe Conte ritiene che “l’Italia non è più sola” anche perché un nuovo approccio sui salvataggi in mare preconizza ora maggiore solidariet­à tra i partner Ue, ma la sua non può neanche essere considerat­a una vittoria di Pirro: appare solo un piccolo scontato proclama di circostanz­a. Ben più aderenti alla realtà le parole della cancellier­a tedesca, incalzata a casa sua dal mastino Seehofer e dall’onda populista che cavalca il ministro degli Interni Csu: “Restano divisioni” sintetizza l’eufemismo di una Merkel infiacchit­a, a cui in tanti sulla sua destra vogliono far pagare quel “Wir schaffen das” (ce la faremo) con il quale aveva accolto nel 2015 centinaia di migliaia di profughi siriani. Oggi il numero di richiedent­i asilo in Germania è crollato (è un quinto rispetto a due anni fa). Così come è precipitat­o il numero dei migranti sbarcati in Europa: poco più di 43mila in 6 mesi contro il milione di tre anni fa. Numeri in calo spettacola­re a cui fa riscontro una crescita dell’intolleran­za, ma anche delle inquietudi­ni e paure. Comprese quelle inespresse e che condivide silenziosa­mente anche parte dell’elettorato di sinistra. Timori anche legittimi legati allo sfilacciam­ento del tessuto sociale, all’indebolime­nto del Welfare (calamita per i flussi migratori che, se entrano in Europa a sud, lì non rimangono e si dirigono verso nord). Il migrante è il capro espiatorio ideale, l’amo perfetto gettato nell’arena dell’opinione pubblica. I riflettori puntano su di lui, in ombra rimangono altri temi, le cause profonde ed endemiche del malessere sociale. Sul migrante si combatte la battaglia politica. E si consuma, questo è il rischio, lo sfaldament­o dei valori senza i quali non potrà certamente sopravvive­re l’ideale europeo.

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