Intesa solo apparente
Gli Stati dell’Ue concordano una linea comune sui migranti, ma è subito scontro
Conte (Italia) e Macron (Francia) hanno opinioni divergenti sulle piattaforme di accoglienza
Angela Merkel: continueremo a prendere rifugiati sbarcati in Italia solo se ci sarà un accordo con Roma sui movimenti secondari
L’accordo sui migranti faticosamente raggiunto tra i 28 Paesi membri della zona euro si rivela per quello che è: un’intesa per salvare la faccia ed evitare l’implosione dell’Unione europea (Ue) ma che risolve poco o nulla. E la lite a distanza tra il premier italiano Giuseppe Conte e il presidente francese Emmanuel Macron sui centri volontari per i migranti diventa emblematica del caos. È proprio il concetto di volontarietà – cardine attorno al quale ruota tutta l’intesa – a rendere tutto troppo aleatorio. E le piattaforme di accoglienza da condividere in Europa tra gli Stati ‘volenterosi’ diventano il primo casus belli. Francia, Belgio, Olanda, Austria non ne vogliono sentir parlare. Lo spagnolo Pedro Sanchez spiega di averne già. E anche Conte, vista l’indisponibilità degli altri, ne sta alla larga. «I centri sorvegliati di accoglienza in Ue su base volontaria vanno fatti nei Paesi di primo ingresso, quindi sta a loro dire se sono candidati ad aprire questi centri. La Francia non è un Paese di primo arrivo», ha precisato Macron. In buona sostanza, il capo dell’Eliseo rimanda la palla a Italia, Spagna e Grecia. Ma così per Roma salta tutto. «Abbiamo finito alle 5 di mattina. Macron era stanco, lo smentisco», gli ha replicato ieri stizzito Conte in conferenza stampa. Nell’accordo raggiunto – ha spiegato – «non si fa riferimento a un Paese di primo transito o di secondo transito». Ma la linea di Parigi resta quella. E pochi minuti dopo le parole del premier, Macron ha nuovamente chiarito: «Il concetto di Paese di primo arrivo non si può cancellare. La Francia non è un Paese di primo arrivo e non aprirà dei centri di controllo dei migranti». Chiusura totale. Anche tra Roma e Berlino le cose non vanno meglio: sui respingimenti, Angela Merkel ha chiuso intese bilaterali con molti Paesi: dalla Spagna alla Grecia, dall’Austria alla Francia, ma non con l’Italia. «Non riprenderemo alcun migrante che dovesse essere stato registrato da noi e poi andato in Germania», ha avvertito il presidente del Consiglio italiano, insistendo sul fatto di non aver promesso niente alla cancelliera tedesca. Poco male per Merkel, che lasciando Bruxelles con in tasca un carnet di accordi sui movimenti secondari «che dovrebbero più che soddisfare gli alleati bavaresi della Csu [l’Unione cristiano-sociale]», ha però messo in guardia Conte: continueremo a prendere rifugiati sbarcati in Italia «come abbiamo fatto in passato» solo se ci sarà un accordo con Roma sui movimenti secondari. Intanto i quattro Paesi dei Visegrad – Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria – esultano per essere riusciti ad evitare le quote obbligatorie per la ridistribuzione dei migranti. Di «grande vittoria» ha parlato il primo ministro ungherese Viktor Orban. Un «gigantesco successo» lo ha definito quello polacco Mateusz Morawiecki. E «soddisfazione» viene espressa da quello slovacco Peter Pellegrini e dal primo ministro ceco Andrej Babis. Mentre l’Italia, sotto i riflettori al summit con la sua minaccia di veto, appare sempre più isolata con lo spegnersi delle luci della ribalta.
Un’intesa ‘a base volontaria’
Proprio le voci dei leader la dicono lunga sulla reale efficacia dell’accordo. «È un albero di Natale, ognuno ci trova il suo regalino», hanno indicato fonti diplomatiche, sottolineando come nel testo delle conclusioni del Consiglio la parola “volontario” ricorra ben quattro volte. Si parla di “reinsediamenti volontari”, di “base volontaria” per l’apertura di centri negli Stati membri da destinare alla selezione dei rifugiati rispetto ai migranti economici. “A base volontaria” vengono definiti anche ricollocamenti e reinsediamenti, e il documento cita anche i “rimpatri umanitari volontari”. Nessuna decisione vincolante insomma. Tanto che il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk frena qualsiasi entusiasmo: «È troppo presto per parlare di successo. L’intesa sulle conclusioni è stato il compito più facile in confronto» a quello che sarà la sua applicazione «sul terreno».