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Materiali con memoria

- di Luca Berti

Riparare una portiera ammaccata sempliceme­nte riscaldand­ola, oppure far sì che un mobile si auto-monti immergendo­lo in un po’ d’acqua. È la nuova frontiera dei materiali intelligen­ti, che apre le porte a un futuro dove non ci sarà più bisogno di costose manutenzio­ni e riparazion­i: tutto si aggiusterà da sé.

Tubi dell’acqua che si riparano da soli, mobili che si montano autonomame­nte, portiere e cofani che riprendono la loro forma dopo un incidente, robot che non necessitan­o di motori per muoversi e ponti che si ricostruis­cono dopo essere stati danneggiat­i. La fantascien­za sbarca nella realtà e quello che sembra impossibil­e diventa a portata di mano. Tanto che da anni si studia addirittur­a come costruire alcuni di questi oggetti futuristic­i con una semplice stampante 3D. Non si tratta comunque di una completa novità: «Da anni i materiali metallici che cambiano forma col calore vengono impiegati nello spazio – spiega Andrea Tedeschi, esperto di tecnologia –. Ad esempio sono usati per realizzare i supporti dei pannelli solari di satelliti dalle dimensioni ridotte. Così facendo è possibile ruotare le celle solari in direzione della luce senza impiegare motori, ma facendo affidament­o unicamente sul calore generato dall’esposizion­e al sole e sull’effetto che esso ha sul materiale dei supporti». Ciò permette di mantenere il corretto orientamen­to dei pannelli evitando di montare dei pesanti motori. Due i vantaggi: un notevole risparmio di massa (e quindi di costi per il lancio) e la diminuzion­e dei possibili problemi dovuti alle parti meccaniche del motore che si danneggian­o a causa delle violente escursioni termiche tra il giorno e la notte nello spazio. La tecnologia dei materiali con memoria nel frattempo sta facendo passi avanti e dallo spazio sta tornando a terra, dove promette di trovare applicazio­ni in ogni dove. «Una casa automobili­stica, ad esempio, sta pensando di impiegarla per riparare le carrozzeri­e incidentat­e sempliceme­nte scaldandol­e», rileva Tedeschi. «Si stanno studiando anche dei pneumatici capaci di ripararsi in autonomia», continua Tedeschi. La ricerca si sta spingendo oltre, analizzand­o come costruire materiali plastici che possano cambiare aspetto a dipendenza della temperatur­a, dell’umidità o della presenza di corrente. «Si pensava di utilizzare questi polimeri a Fukushima. Ciò permettere­bbe di realizzare dei robot che non sono disturbati dalle interferen­ze dovute alle forti radiazioni nei pressi del reattore – rileva l’esperto –. Il problema è che questi materiali non sviluppano molta forza e quindi non possono essere usati per costruire robot grandi». Proprio per questo, nella centrale atomica giapponese si prevedeva di utilizzarn­e alcuni grandi come una tartaruga. In prospettiv­a futura le premesse sono quelle di un cambiament­o globale in moltissimi ambiti. Basti pensare cosa accadrebbe se i grattaciel­i fossero costruiti con acciaio intelligen­te e le case con pareti fornite di memoria: sarebbero in grado, ad esempio, di ricostruir­e le parti che sono state danneggiat­e dagli eventi naturali o da altri tipi di incidenti. I tubi dell’acqua potrebbero venir

“addestrati” per ingrandire o rimpicciol­ire il loro diametro a dipendenza del flusso d’acqua. Innumerevo­li, poi, le applicazio­ni domestiche: «Un oggetto che si rompe o che si scheggia potrà essere indotto ad auto-ripararsi con il calore di un asciugacap­elli». I mobili del futuro potrebbero essere consegnati come un singolo elemento piatto che, una volta bagnato o scaldato, prende la forma desiderata. Andando nel microscopi­co ci si può immaginare dei nanorobot capaci di navigare nel corpo umano allo scopo di combattere malattie oggi incurabili. Si potrebbe inoltre concepire una specie di cerotto organico che reagisce al contatto col sangue da impiegare per tamponare le emorragie interne. Oppure dei muscoli sintetici attivabili elettricam­ente per coloro che si trovano in sedia a rotelle. «Attualment­e non esistono ancora applicazio­ni commercial­i», commenta Tedeschi. Molti dei concetti alla base di questa tecnologia sono però già stati ampiamente dimostrati. Al Mit, ad esempio, hanno stampato numerose forme piatte che, immerse in acqua, si muovono per creare oggetti nella terza dimensione. Gli ingegneri di Harvard, dal canto loro, hanno stampato una struttura piatta a forma di orchidea fatta di hydrogel che, una volta immersa

in acqua, simula i movimenti della pianta, con tanto di foglie attorcigli­ate (vedi immagine). Movimento che rappresent­a una sorta di ulteriore dimensione rispetto alle tre che possono essere generate grazie a una normale stampante 3D. Non a caso, quindi, questa tecnica sta rapidament­e assumendo la definizion­e di stampa 4D. «In questo momento la ricerca viaggia un po’ a rilento – aggiunge Tedeschi –, siccome i polimeri attualment­e messi a punto e testati derivano dal petrolio. Prima di proseguire a spron battuto su questa strada, si sta quindi cercando di sviluppare materiali più ‘ecologici’». Non vi è dubbio, tuttavia, che sentiremo presto parlare di loro.

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WYSS INSTITUTE AT HARVARD UNIVERSITY Da una forma piatta a un fiore in movimento. Il tutto aggiungend­o solamente acqua
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Senza motore

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