Materiali con memoria
Riparare una portiera ammaccata semplicemente riscaldandola, oppure far sì che un mobile si auto-monti immergendolo in un po’ d’acqua. È la nuova frontiera dei materiali intelligenti, che apre le porte a un futuro dove non ci sarà più bisogno di costose manutenzioni e riparazioni: tutto si aggiusterà da sé.
Tubi dell’acqua che si riparano da soli, mobili che si montano autonomamente, portiere e cofani che riprendono la loro forma dopo un incidente, robot che non necessitano di motori per muoversi e ponti che si ricostruiscono dopo essere stati danneggiati. La fantascienza sbarca nella realtà e quello che sembra impossibile diventa a portata di mano. Tanto che da anni si studia addirittura come costruire alcuni di questi oggetti futuristici con una semplice stampante 3D. Non si tratta comunque di una completa novità: «Da anni i materiali metallici che cambiano forma col calore vengono impiegati nello spazio – spiega Andrea Tedeschi, esperto di tecnologia –. Ad esempio sono usati per realizzare i supporti dei pannelli solari di satelliti dalle dimensioni ridotte. Così facendo è possibile ruotare le celle solari in direzione della luce senza impiegare motori, ma facendo affidamento unicamente sul calore generato dall’esposizione al sole e sull’effetto che esso ha sul materiale dei supporti». Ciò permette di mantenere il corretto orientamento dei pannelli evitando di montare dei pesanti motori. Due i vantaggi: un notevole risparmio di massa (e quindi di costi per il lancio) e la diminuzione dei possibili problemi dovuti alle parti meccaniche del motore che si danneggiano a causa delle violente escursioni termiche tra il giorno e la notte nello spazio. La tecnologia dei materiali con memoria nel frattempo sta facendo passi avanti e dallo spazio sta tornando a terra, dove promette di trovare applicazioni in ogni dove. «Una casa automobilistica, ad esempio, sta pensando di impiegarla per riparare le carrozzerie incidentate semplicemente scaldandole», rileva Tedeschi. «Si stanno studiando anche dei pneumatici capaci di ripararsi in autonomia», continua Tedeschi. La ricerca si sta spingendo oltre, analizzando come costruire materiali plastici che possano cambiare aspetto a dipendenza della temperatura, dell’umidità o della presenza di corrente. «Si pensava di utilizzare questi polimeri a Fukushima. Ciò permetterebbe di realizzare dei robot che non sono disturbati dalle interferenze dovute alle forti radiazioni nei pressi del reattore – rileva l’esperto –. Il problema è che questi materiali non sviluppano molta forza e quindi non possono essere usati per costruire robot grandi». Proprio per questo, nella centrale atomica giapponese si prevedeva di utilizzarne alcuni grandi come una tartaruga. In prospettiva futura le premesse sono quelle di un cambiamento globale in moltissimi ambiti. Basti pensare cosa accadrebbe se i grattacieli fossero costruiti con acciaio intelligente e le case con pareti fornite di memoria: sarebbero in grado, ad esempio, di ricostruire le parti che sono state danneggiate dagli eventi naturali o da altri tipi di incidenti. I tubi dell’acqua potrebbero venir
“addestrati” per ingrandire o rimpicciolire il loro diametro a dipendenza del flusso d’acqua. Innumerevoli, poi, le applicazioni domestiche: «Un oggetto che si rompe o che si scheggia potrà essere indotto ad auto-ripararsi con il calore di un asciugacapelli». I mobili del futuro potrebbero essere consegnati come un singolo elemento piatto che, una volta bagnato o scaldato, prende la forma desiderata. Andando nel microscopico ci si può immaginare dei nanorobot capaci di navigare nel corpo umano allo scopo di combattere malattie oggi incurabili. Si potrebbe inoltre concepire una specie di cerotto organico che reagisce al contatto col sangue da impiegare per tamponare le emorragie interne. Oppure dei muscoli sintetici attivabili elettricamente per coloro che si trovano in sedia a rotelle. «Attualmente non esistono ancora applicazioni commerciali», commenta Tedeschi. Molti dei concetti alla base di questa tecnologia sono però già stati ampiamente dimostrati. Al Mit, ad esempio, hanno stampato numerose forme piatte che, immerse in acqua, si muovono per creare oggetti nella terza dimensione. Gli ingegneri di Harvard, dal canto loro, hanno stampato una struttura piatta a forma di orchidea fatta di hydrogel che, una volta immersa
in acqua, simula i movimenti della pianta, con tanto di foglie attorcigliate (vedi immagine). Movimento che rappresenta una sorta di ulteriore dimensione rispetto alle tre che possono essere generate grazie a una normale stampante 3D. Non a caso, quindi, questa tecnica sta rapidamente assumendo la definizione di stampa 4D. «In questo momento la ricerca viaggia un po’ a rilento – aggiunge Tedeschi –, siccome i polimeri attualmente messi a punto e testati derivano dal petrolio. Prima di proseguire a spron battuto su questa strada, si sta quindi cercando di sviluppare materiali più ‘ecologici’». Non vi è dubbio, tuttavia, che sentiremo presto parlare di loro.