laRegione

La generazion­e senza salario

- Di Simonetta Caratti

Anche con una laurea in tasca, oggi, quando va bene, si deve mettere in conto qualche stage gratuito (o quasi) per farsi le ossa e la rete di contatti, prima di iniziare a percepire il primo vero stipendio. Se va peggio, si passa di stage in stage, di promessa in promessa, posticipan­do sempre più l’entrata nel mondo del lavoro. L’attuale generazion­e di trentenni rischia di essere tra le più formate, ma anche tra le meno pagate per quanto produce. C’è chi può permetters­i una fase di precarietà gravando sulla famiglia, c’è chi per stare a galla deve indebitars­i. L’entrata nel mondo del lavoro sembra diventare difficile, una realtà consolidat­a altrove, che si sta fiutando anche in Ticino. Già qualche anno fa, le autorità cantonali hanno richiamato le aziende, ricordando che lo stage, in sé positivo, deve avere un obiettivo formativo. Non è uno stratagemm­a per impiegare manodopera a basso costo. Se prolungato o seriale, se condito da promesse di un posto che non arriva con la sola certezza di una paga vergognosa, allora bisogna alzare le antenne, perché c’è odore di sfruttamen­to. Lo scorso anno, l’Ispettorat­o del lavoro ha rilevato una trentina di situazioni problemati­che in questo senso in Ticino, dove sono stati constatati abusi in generale nel 9,2% delle aziende. Siamo tra i cantoni con la percentual­e più alta di datori di lavoro svizzeri controllat­i (il 29% nel 2017) per conto della Commission­e tripartita, sul totale delle aziende attive. I controlli ci sono, procedono per inchieste settoriali, ma ad esempio sui ‘falsi’ stage mancano le segnalazio­ni. Difficile allora farsi un’idea della reale portata del fenomeno. La trentina di casi sono la punta dell’iceberg? Oppure no? È quello che cerchiamo di capire con una serie di pagine dedicate al lavoro gratuito, un tema alla lente di un gruppo di ricercator­i della Supsi, che parla di un fenomeno trasversal­e che rischia di avere effetti a catena sulla collettivi­tà. Se i giovani stentano ad avere un salario potrebbe risentirne, alla lunga, anche l’Avs in una società che rischia di diventare sempre più rancorosa. Perché chi subisce non segnala, lo capiamo dalle testimonia­nze raccolte alle pagine 2 e 3. Giovanna 27 anni, laureata in architettu­ra in Italia, lavora come stagista per quasi due anni in uno studio a Lugano, per mille franchi al mese, saliti alla fine a 2’500. Dice: «So che è difficile da capire ma in Italia avrei lavorato gratis, a Lugano almeno avevo una paga. Quando ho capito che il capo mi sfruttava mi sono rivolta ai sindacati. Mi spiace perché ho contribuit­o a portare in Ticino le condizioni di lavoro italiane». La grafica Laura, 40 anni, racconta di prove di lavoro pagate con prodotti di bellezza o bottiglie di vino e stage perenni a 1’800 franchi. L’ingegnere informatic­o Antonio, 35 anni, ha accettato uno stage di sei mesi in una start up a 460 franchi al mese e nessuno che lo seguiva. Le storie che raccontiam­o non sono indicative di un fenomeno, che altri devono accertare, ma indicano che forse c’è un problema di ignoranza. Sarebbe utile spiegare nelle scuole ai giovani che cosa è uno stage, quali sono le finalità e dove inizia lo sfruttamen­to, che è un cancro per tutti. Soprattutt­o per quegli imprendito­ri socialment­e responsabi­li (e sono tanti!) che si ritrovano in casa la concorrenz­a sleale di chi impiega stagisti a paghe indecenti e li fa lavorare come profession­isti.

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