L’invisibile economia dei lavoretti
Si chiama gig economy, l’economia dei lavoretti, la star del lavoro gratuito o quasi, ai tempi dei social e dei Big data, che fragilizza sempre più il lavoro salariato. Un mondo quasi invisibile o meglio impalpabile. Prestazioni professionali offerte online da ‘free lance’, una folla indistinta da un capo all’altro del mondo da dove attingono ditte e aziende internazionali. «È una realtà anche in Ticino. Attori di questa rivoluzione sono nuove forme professionali in rete come i ‘turker’, lavoratori a cottimo pagati poco che compiono microattività, come ad esempio ‘taggare’ immagini in rete per conto delle grandi piattaforme oppure gli ‘youtuber’ che con i loro filmati generano ingenti introiti pubblicitari, di cui vedono solo una minima parte», spiega l’economista Spartaco Greppi, responsabile dell’Unità di ricerca di lavoro sociale del Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale alla Supsi. Operando in rete si generano valore e redditi, ma spesso non si percepisce quasi nulla. Un altro esempio, continua l’esperto, sono tutti i dati che si lasciano gratuitamente sui social e che generano valore aggiunto. «Si naviga gratuitamente perché il prodotto siamo noi che generiamo sui social montagne di informazioni che vengono rivendute o addestrano le intelligenze artificiali», spiega.