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‘Mi pagavano con prodotti, c’erano laureati con stipendi da 1’800 franchi’

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Dopo il liceo, 5 anni di formazione all’accademia Belle Arti a Milano e poi un girone di lavori in Ticino mal pagati conditi da tante promesse. Un nuovo corso alla Supsi come ‘web developer’ pagato dalla disoccupaz­ione e stage prolungati che non diventano un lavoro salariato a tempo pieno. Quello della grafica e web designer Laura, 40enne, è un percorso da vera combattent­e in una giungla di precariato. La incontriam­o a Bellinzona e tra documenti e foto ci illustra le sue peripezie nel mondo del lavoro. Laura approda attraverso la disoccupaz­ione in una ditta che produce una rivista, il suo ruolo è quello di assistente di direzione. Prima dello stage, le vengono chieste delle prove – giornate pagate 30 franchi, nulla o con prodotti – deve seguire manifestaz­ioni in Ticino e a Milano. Dopo le prove c’è la settimana di stage, pagata dalla disoccupaz­ione. Quando finisce il titolare le fa una proposta. «Mi disse, resta in disoccupaz­ione, ti regalo alcune bottiglie di vino e continui a lavorare qui, tanto chi ti vede se stai in ufficio?». Laura rifiuta ma il titolare insiste: «Devi venirmi incontro ora non posso assumerti ma se hai pazienza vediamo». Laura è sconcertat­a dalla proposta, che altri accettano. Con lei in ufficio – ci racconta – c’è una ragazza con un bachelor in marketing, lavora senza contratto e riceve uno stipendio di stage perenne: all’80% è pagata 1’800 franchi al mese. «Rimaneva lì perché pensava di non trovare altro». Segue un’altra brutta esperienza, in un’agenzia pubblicita­ria, una start up appena nata, dove viene mandata anche in questo caso dalla disoccupaz­ione. La promessa iniziale è “fai uno stage di una settimana e poi ti assumo”. Le settimane diventano tre, alla fine della terza: “Fai due mesi al 50% ma ho bisogno all’80%”. Siamo in febbraio, la promessa è che in autunno da metà tempo passa al 100%. A settembre Laura chiede di nuovo del contratto. Il titolare: «Settimana prossima te lo faccio. Ci sono nuovi investitor­i in Germania, avremo un ufficio nuovo». Di promessa in promessa si arriva a fine anno e la ditta fallisce. «Mi doveva 8mila franchi. So che il titolare ha riaperto una nuova ditta e continua con il medesimo sistema attingendo personale dalla disoccupaz­ione e lasciandol­o poi a casa senza pagare lo stipendio. Anche questa seconda ditta è fallita a fine maggio di quest’anno, ma ne ha riaperta già una terza». Laura si rivolge al sindacato Unia che la aiuta. La due ditte vengono segnalate all’ispettorat­o del lavoro e ci sono ispezioni. Oggi Laura lavora per un sito al 50% e si trova bene. «Non voglio più fare la grafica perché non è una profession­e riconosciu­ta, vieni sfruttata anche se hai una buona formazione. Va bene come hobby ma non per vivere. Ho mangiato tanta rabbia. Ho dovuto fare tante rinunce perché non avevo un salario decente. Il sindacato c’è stato e mi ha aiutata», conclude Laura (nome noto alla redazione).

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Nella giungla dei web designer

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