Sfiducia fra le due sponde dell’Oceano
Straordinaria la velocità con la quale il centro di gravità economico del mondo sta spostandosi verso Est
Secondo la ricostruzione del McKinsey Global Institute, nel 1940 era più o meno in Norvegia e nel 1950 poco a nord dell’Islanda: pienamente Atlantico quando il dominio di Stati Uniti ed Europa era indiscusso. Poi, ha cambiato direzione e ha iniziato a tornare verso Oriente: a nord della Finlandia nel 1990, nell’Artico sopra la Russia nel 2000, nel cuore della Siberia nel 2010 e, si prevede, più o meno sul confine tra Russia e Cina nel 2025, poco più a settentrione di dov’era nel 1820 prima della grande industrializzazione dell’Occidente. Nei calcoli dell’Institute, basati sui Pil dei Paesi, lo spostamento avviene a 140 chilometri l’anno, la velocità maggiore mai registrata.
Lo scontro transatlantico
fra Europa e Usa
Lo scontro transatlantico che sta maturando, anche in questo caso con rapidità, tra Stati Uniti ed Europa va dunque letto sia come una reazione di entrambi a questo movimento tettonico dell’economia sia come un acceleratore. Che l’ordine mondiale fondato sul dominio dell’Atlantico sia avviato a finire è probabilmente sicuro. Succede però che America ed Europa stanno lavorando per accelerare il fenomeno.
Tamburi di guerra
Lo scontro sulle tariffe tra le due sponde atlantiche non è ancora una guerra. I rumori di battaglia sono però forti. A inizio giugno, Donald Trump ha lasciato che scadessero le esenzioni sulle tariffe per le importazioni dall’Ue di acciaio e alluminio. Il 22 giugno, sono entrate in vigore le misure di ritorsione europee (tariffe del 20%) su 2,8 miliardi di euro di importazioni di motociclette, bourbon, jeans e altro dagli Stati Uniti. Al che Trump ha minacciato di introdurre dazi su 60 miliardi di dollari di auto e parti di ricambio importate dall’Europa.
È così che iniziano le guerre commerciali: l’approccio della Casa Bianca verso l’Europa è simile, da questo punto di vista, a quello perseguito contro la Cina
Se avverrà, come si ritiene probabile, la Ue potrebbe a sua volta decidere altre ritorsioni. È così che iniziano le guerre commerciali: l’approccio della Casa Bianca verso l’Europa è simile, da questo punto di vista, a quello perseguito contro la Cina.
Effetti concentrati in alcuni Paesi
In sé, tariffe americane del 20% su auto e componenti europee, rispetto all’attuale 2,5%, non sono devastanti per l’economia Ue, anche se sarebbero sette volte superiori a quelle su acciaio e alluminio. La società di analisi Oxford Economics ha calcolato che il loro impatto diretto provocherebbe uno 0,1% in meno di crescita nella Ue. Il problema è che l’effetto sarebbe concentrato in alcuni Paesi. La Germania, per esempio, potrebbe vedere il suo Pil ridotto dello 0,8%, non poco. La Slovacchia addirittura dell’1,7% e soffrirebbero parecchio anche la Repubblica Ceca e l’Ungheria (l’Italia avrebbe un Pil che cresce dello 0,12% di meno). È che la catena della produzione nell’industria automobilistica attraversa più Paesi e quindi i dazi non colpiscono solo direttamente chi esporta Bmw, Audi, Mercedes e Volkswagen, ma anche le imprese, non necessariamente tedesche, che hanno contribuito a produrre quelle auto (non escluse quelle italiane).
Peso sull’industria dell’auto tedesca
La situazione dell’industria dell’auto tedesca è in questo momento particolarmente delicata. Nel 2017 ha esportato negli Stati Uniti più di 490mila auto. Una parte delle tariffe di Trump, forse un quarto, la potrebbero sostenere i produttori riducendo i margini sulle auto di lusso, ma una parte finirebbe sui prezzi, con una probabile riduzione delle vendite. A questo scenario si aggiunge il rischio di un non accordo con Londra sull’accesso al mercato europeo una volta che la Brexit sarà effettiva, la prossima primavera: il Regno Unito è il maggiore Paese di esportazione per le auto tedesche, 770mila nel 2017. Se subissero ostacoli nei due loro maggiori mercati di esportazione, i grandi produttori della Germania sarebbero in notevoli difficoltà. Cioè verrebbe colpito il settore industriale più importante della Germania e uno dei maggiori in Europa: un fatto molto rilevante sul piano politico, oltre che economico. Daimler, Bmw, Volkswagen stanno dunque cercando un accordo con Washington per evitare l’escalation dello scontro. Addirittura propongono, appoggiate dall’ambasciatore americano a Berlino Richard Grenell, un mercato transatlantico dell’auto senza alcuna tariffa.
Il problema è la politica
Il problema, però, è la politica. La sfiducia tra le due sponde dell’oceano è elevatissima. Trump non perde occasione per attaccare la Germania e Angela Merkel. Ma anche da parte europea si suonano i tamburi. Pochi giorni fa, il presidente del Consiglio Ue, Donald
Tusk, ha detto che, per quel che riguarda la relazione con l’America, l’Europa «deve essere pronta allo scenario peggiore». Ha aggiunto: «Nonostante i nostri sforzi instancabili per tenere unito l’Occidente, le relazioni transatlantiche sono sotto un’enorme pressione dovuta alle politiche del presidente Trump: sfortunatamente, le divisioni vanno oltre il commercio».
Lo strumento della web tax
Una tensione del genere non c’era mai stata, tra Washington e l’Europa. Da un lato, Trump avanza senza esitazioni sulla strada delle guerre commerciali che «si vincono facilmente». A Washington,
d’altra parte, cresce l’irritazione per una serie di scelte europee, a cominciare da quelle contro i giganti del web, che gli americani ritengono mosse da altrettanto protezionismo, solo mascherato. E trovano consensi, nella loro lettura, anche di qua dall’Atlantico. La proposta di web tax sulle grandi digital companies «sarebbe più uno strumento per intraprendere una guerra commerciale che una tassa normale», ha sostenuto Clemens Fuest, il presidente di uno dei centri di studio economico più influenti della Germania, l’Ifo di Monaco. Insomma: pessime onde sull’Oceano Atlantico. Mentre il centro del mondo economico corre verso Oriente.