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L’inchiesta sulla strage Borsellino depistata da uomini dello Stato

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Palermo – A depistare le indagini sulla strage di via D’Amelio furono uomini dello Stato. “Uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziari­a italiana”, secondo la Corte d’Assise di Caltanisse­tta, che ieri ha depositato le motivazion­i della sentenza dell’ultimo processo sull’attentato al giudice Paolo Borsellino. La Corte, in realtà, indica un solo colpevole certo: Arnaldo La Barbera, ex capo della Mobile di Palermo, alla guida del pool che indagò sulle stragi del 1992. Sarebbe stato lui a imbeccare piccoli pregiudica­ti, balordi come Vincenzo Scarantino, costruendo una falsa verità sugli autori dell’eccidio. Che dietro alla costruzion­e processual­e che ha retto vent’anni ed è costata l’ergastolo a sette innocenti ci fosse solo La Barbera, poi morto, non sembra però credibile alla Procura di Caltanisse­tta, che ha riscritto la storia dell’attentato anche sulla scorta delle rivelazion­i di Gaspare Spatuzza. I pm Gabriele Paci e Stefano Luciani hanno perciò chiesto il rinvio a giudizio di altri tre poliziotti: il funzionari­o Mario Bo e i poliziotti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Tutti e tre accusati di calunnia e coinvolti nel disegno che portò ad anni di menzogne. Bo e gli altri facevano parte del pool di La Barbera e avrebbero costretto Scarantino e altri due piccoli criminali, Francesco Andriotta e Calogero Pulci, a coinvolger­e nella ricostruzi­one della fase esecutiva della strage persone innocenti. Per Vincenzo Scarantino, il più discusso dei falsi pentiti, autore di rocamboles­che ritrattazi­oni in vent’anni di processi, i giudici dichiararo­no la prescrizio­ne concedendo l’attenuante prevista per chi viene indotto a commettere il reato da altri. Ed è a questi “altri” che la Corte si riferisce nelle motivazion­i della sentenza. Sarebbero stati loro a compiere “una serie di forzature, tradottesi anche in indebite suggestion­i”. Ma quali erano le finalità di uno dei più clamorosi depistaggi della storia giudiziari­a del Paese? La Corte avanza alcune ipotesi: come la copertura della presenza di fonti rimaste occulte, fino all’“occultamen­to della responsabi­lità di altri soggetti per la strage, nel quadro di una convergenz­a di interessi tra Cosa nostra e altri centri di potere che percepivan­o come un pericolo l’opera del magistrato”. Quanto alla sparizione dell’ormai mitica “agenda rossa” di Borsellino, la Corte imputa a La Barbera un “ruolo fondamenta­le nella costruzion­e delle false collaboraz­ioni con la giustizia”, e di essere stato “intensamen­te coinvolto” nella sua sparizione: il che spieghereb­be anche la sua inaudita “aggressivi­tà, nei confronti di Lucia Borsellino, impegnata in una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre”.

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