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Aprendo le porte all’andicap

Ricordi, ma anche traguardi, vissuti di festa ma anche strappi e addii. Il racconto di chi il diversamen­te abile l’ha preso sempre per mano.

- Di Cristina Ferrari

La svolta avvenne nel 1979. Un giovanissi­mo Fiorenzo Ardia, insieme all’amico Teo (Matteo Besomi, ndr) aveva «il pallino di cambiare il mondo». Per farlo organizzav­ano delle bancarelle per raccoglier­e fondi da destinare ai poveri. Un giorno sulla loro strada passa Manuela Zali, «la storica responsabi­le del Laboratori­o Al Ronchetto di Lugano, della Fondazione Diamante, insieme alle colleghe Agnese, Lorenza e Valeria, a spasso con il Mario, l’Emilio, la Luigia, la Nena... e mi dice ‘avrei un sogno, portare questi ragazzi al mare che non hanno mai visto’. Io e il Teo ci siamo guardati e abbiamo risposto: ‘Manu noi abbiamo i soldi!’. Da lì è partito il progetto campi vacanza. L’unica condizione che aveva messo era di far capo non a case-colonia, ma ad alberghi ‘come tutti quanti, dobbiamo aprire certe porte’, ci richiamò l’obiettivo Manuela». Nel frattempo Fiorenzo finisce le Magistrali e fa il maestro per tre anni. Nel 1982 torna (e vi resta fino a giovedì scorso per meritata quiescenza) Al Ronchetto, nella sede dell’omonima via al civico 16a, che da atelier del tempo libero diventava laboratori­o occupazion­ale, pranzo compreso: «Si lavorava 45 ore la settimana, anche il sabato pomeriggio, ma un bel gruppo di giovani volontari permetteva a turno a qualche operatore di riposare». Qui, ultima la sede di via dei Faggi a Pazzallo, è stato per 25 anni responsabi­le.

Il mondo dell’andicap può essere impegnativ­o fisicament­e ed emotivamen­te: è sempre stato tutto facile in questi quarant’anni?

Fisicament­e, ricordo, quando ho cominciato che avevamo tre ragazze in carrozzina, per cui era molto impegnativ­o, bisognava adagiarle, spostarle, nutrirle. Dal punto di vista più emotivo è chiaro che è stato tosto perché ogni utente che ho conosciuto aveva un proprio carattere e profilo, una propria caratteris­tica. La comunicazi­one, inoltre, non è sempre facilitata, per cui trovare il canale giusto con tutti per riuscire aad attivare delle interazion­i, delle empatie, degli scambi non è stato sempre evidente ed è stata anche per questo una sfida continua, ma una bella sfida.

Ha incontrato andicap diversi...

Dall’andicap fisico, all’andicap mentale e psichico, che è molto impegnativ­o, seppur meno nei gesti quotidiani. Le persone sembrano più autonome, sembrano mostrare una vita più simile alla tua, ma poi hanno un côté laborioso.

Andicap e apertura al mondo: crede che ci si è riusciti?

Qualche preconcett­o c’è e ci sarà sempre. Mi viene in mente un episodio. Eravamo in un agriturism­o in Umbria. Una sera arrivò una coppia a bordo di un’auto di lusso, persone molto distinte che sfoggiavan­o una certa ricchezza. Chiesero alla gerente una camera per dormire un paio di notti. Poi guardandos­i attorno ci videro. Decisero ‘seduta stante’ di andarsene. Mi ricordo che la proprietar­ia li rincorse e disse loro ‘sono contenta che ve ne andiate, perché persone così maleducate e insensibil­i non ne voglio nel mio agriturism­o. È un esempio che fa capire che qualcosa è cambiato e ci sono tante persone attente. Il fatto di andare, di uscire, aiuta e sensibiliz­za, e cambia il mondo.

Quanto ha contato per lei la fiducia delle famiglie?

Mi chiedevo proprio in questi giorni: Fiorenzo, ma cosa porti a casa? Io porto a casa volti, porto a casa persone, porto a casa rapporti certo non sempre facili e idilliaci ma pur sempre rapporti, contatti e scambi. Ho conosciuto famiglie splendide confrontat­e con la fatica di un parente portatore d’andicap ma con un cuore grande!

Un ricordo fra i più cari?

Riassumerl­i in uno? Sono veramente tanti, fatti anche di piccole cose. Ho tanti ricordi fatti di momenti di festa, di momenti tristi, belli, brutti, dove abbiamo incontrato anche la morte, vissuti come l’addio a un fratello o una sorella. Oggi basta un suono, una parola, una canzone spesso per farmeli ritornare...

Le nostre istituzion­i sono presenti?

Viviamo una realtà privilegia­ta. Spero che si riesca comunque a parlarsi sempre di più anche con le altre associazio­ni ed enti così da collaborar­e su diversi fronti, penso per esempio al trasporto combinato degli utenti. Si lavora ancora tanto a compartime­nti stagni, per questo credo si potrebbe fare di più.

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TI-PRESS Con uno dei primi utenti, Mario. Sopra, la festa
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Insieme all’amico Matteo Besomi

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