Non basta un ‘sopruso’ a fare un romanzo
Ci sono libri che ti parlano chiaro fin dal titolo, e non è per forza buon segno. Quello scelto da Marco Horat, in questo senso, rivela in modo programmatico i propri intenti. ‘Soprusi – Storie di ordinaria sopraffazione’ (Edizioni Ulivo) è uno dei tanti (troppi) titoli mandati in stampa nell’ultima stagione, senza che le buone intenzioni si traducano in risultati altrettanto significativi sul piano letterario. Il protagonista, Sven, è un ancora giovane impiegato di banca ticinese a cui tutto gira storto: la ragazza lo ha lasciato, sta per perdere il lavoro e suo padre è morto, lasciandogli l’incombenza di liberare la casa in cui da tempo era andato a vivere. E invece, fra le cose di quel genitore distante, Sven scopre poco alla volta un mondo che gli appartiene, e il volto segreto di un padre molto più vicino di quanto potesse credere, capace di indicargli un nuovo corso per la sua vita. Non basta però un’idea a fare un romanzo. E se lo sguardo sulle cose di Horat è condivisibile, la forma che esso assume lascia spesso a distanza. Sia sul piano linguistico che su quello narrativo, appaiono troppi gli stereotipi, le frasi fatte di sapore giornalistico, le scorciatoie, le verità a buon mercato come i personaggi ridotti a caricature. Nel mondo di Sven, i banchieri venuti dal Nord hanno “facce tonde e ben rasate” e un portamento arrogante, e il loro autista frontaliere pensa cose del tipo “Devo ricordarmi la vostra faccia perché mi sa che un giorno la rivedrò al telegiornale in occasione di un processo per bancarotta o per qualche altro pasticcio internazionale”. E i camionisti che da ragazzo Sven incontrava in dogana, provenienti da Sud, si sporgevano dal Tir “in canottiera, catenina e crocefisso al collo”, rivelandogli a brutto muso le verità di una vita di lavoro se lui se ne usciva con un “Non vivresti meglio anche tu se la gente imparasse a mangiare i prodotti del suo orto...”. E quando a distanza di anni ci ripensa, riflettendo sul problema attuale del “trasporto delle merci su gomma”, Sven “rimane sorpreso dalla sua perspicacia di allora”... Fra i propri ricordi e i diari di suo padre, il protagonista intraprende di questo passo un viaggio in cui trova posto di tutto: un’avventura a Firenze con una donna danese, l’insospettato amore giapponese di suo padre (comprensivo di guida alla cultura nipponica), le ingiustizie subite dagli indiani d’America e il gran rifiuto a farle proprie da parte di un emigrante valmaggese al soldo dell’esercito a stelle e strisce, fino al viaggio dei migranti e alla razzia e distruzione dei beni archeologici in Medio Oriente raccontate... in un articolo di giornale. Per altro, in un racconto che parrebbe determinato dallo sguardo del protagonista e dalle sue scoperte, i repentini spostamenti del punto di vista (anche nei pensieri di personaggi del tutto marginali) disorientano non poco il lettore. Se questi piccoli e grandi ‘Soprusi’ meritano una luce, questo libro, ispirato da uno slancio nobile ma edito in modo approssimativo, non ci pare rendere loro davvero giustizia. Se questo era lo scopo.