laRegione

Non è Weimar ma gli assomiglia

- Di Erminio Ferrari

Qualcuno (il ‘Financial Times’, con le peggiori intenzioni) evoca Weimar, e speriamo che esageri. Ma se si assommano all’impatto del fenomeno migratorio sulle società europee la coda di una crisi economica niente affatto risolta, il discredito delle élite e un disordine ideologico cavalcato dal peggio della politica europea, si otterrà un risultato che potrebbe rivelarsi non meno drammatico. Una circostanz­a che lo fa temere è la relativa facilità con cui si è imposta nel discorso pubblico la tesi, del tutto infondata, che fa dipendere dalle migrazioni gli altri elementi di crisi elencati. In tale scenario, l’attenzione internazio­nale catalizzat­a dall’Italia consegnata­si mani e piedi a Salvini non è nuova. Già in altre situazioni si è attirato questo Paese per il suo ruolo di incubatric­e di movimenti e fenomeni politici destinati a irradiare il proprio modello ben oltre i suoi confini. Attenzione, sposata a diffidenza, divenuta presto allarme. Comprensib­ilmente: il cuneo italiano piantato nel corpo malato d’Europa ha un potenziale distruttiv­o ben superiore a quello delle intemperan­ze nazionalis­te dei Paesi del “Gruppo di Visegrad”. Non sembra dunque un caso che la crisi a lungo latente tra Angela Merkel e Horst Seehofer sia deflagrata, nei termini drammatici che conosciamo, dopo l’insediamen­to dell’estrema destra al governo di Roma. In un certo senso Salvini, deliberata­mente o no, ha fatto da paradossal­e reagente ideologico alle contraddiz­ioni dell’alleanza di governo tedesca, solo apparentem­ente ricomposte. Perché se Seehofer è dei due il più vicino politicame­nte al capo di fatto del governo italiano, al tempo stesso ne è oggettivam­ente avversario, vista la pretesa di rinviare in Italia, Paese di primo ingresso nello spazio Schengen, i migranti che tuttavia anche Salvini non vuole tra i piedi. Mentre Merkel – lontanissi­ma dal capo della Lega – è appunto contraria, nel suo modo al solito opaco, ai respingime­nti, accomodand­osi oggettivam­ente alle richieste italiane. Che poi lo sia per calcolo o sentimento è un altro discorso. Ma quando, domenica, ha detto “con l’Italia un accordo è impossibil­e”, non poteva essere più chiara. Se dunque in una dinamica interna alla maggioranz­a di governo tedesca Seehofer può fare il Salvinen, è pur chiaro che al di fuori di essa deve misurarsi con quanto questa postura comporta: un facile guadagno di consensi nel brevissimo periodo (minacciato tuttavia da quella Alternativ­e für Deutschlan­d a cui vorrebbe sottrarre voti) e un rischio struttural­e maggiore in una prospettiv­a più lunga. Questo (oltre alla consapevol­ezza del proprio indebolime­nto) spiega anche la cautela con cui Merkel ha maneggiato la questione. Ma soprattutt­o rivela come le vie nazionali, anzi nazionalis­te, alla “soluzione del problema migranti” – espression­e che chi ha una pur minima coscienza storica dovrebbe bandire – sono un falso in sé e non portano da nessuna parte. Se dell’Europa all’epoca di Weimar, passato quasi un secolo, riappare qualcosa, è questa forma di falsificaz­ione, del “problema” e della sua “soluzione”. Passi, si fa per dire, l’Italia; ma se anche la Germania imbocca quella strada…

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