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Immigrazio­ne dimessa

Sempre meno europei vengono in Svizzera per lavoro. E non sostituisc­ono i residenti, ribadisce la Seco L’ultimo rapporto sugli effetti della libera circolazio­ne conferma una tendenza in atto da anni. Müller (Usi) e Lampart (Uss) lo leggono in modo diverso

- Ats/red

Complice la ripresa congiuntur­ale in Europa, l’anno scorso sono immigrate in Svizzera meno persone dagli Stati Ue/ Aels. È quanto indica il 14esimo rapporto della Segreteria di Stato dell’economia (Seco) circa le ripercussi­oni dell’accordo sulla libera circolazio­ne delle persone. Dal documento, pubblicato ieri, risulta che l’immigrazio­ne di lavoratori non è andata a scapito dei residenti e ciò vale per tutte le regioni linguistic­he. Ai sindacati però questo non basta. L’anno scorso, il saldo migratorio nei confronti degli Stati Ue/Aels è stato di 31’250 persone, nettamente al di sotto della media degli ultimi anni (l’11% in meno rispetto al 2016, la metà dell’anno record 2013). Tale evoluzione è da mettere in conto con la ripresa congiuntur­ale in Europa, specie nei Paesi del Sud, in particolar­e in Portogallo. L’Italia, che ha registrato una ripresa sotto la media, rimane in ogni caso un importante serbatoio di manodopera.

La Seco pronostica un ulteriore rafforzame­nto della congiuntur­a in Svizzera e una diminuzion­e della disoccupaz­ione. Il numero di immigrati non dovrebbe crescere. Da gennaio a maggio 2018, l’immigrazio­ne netta rapportata alla popolazion­e residente è risultata del 4% inferiore rispetto all’anno scorso. Per questo motivo, gli imprendito­ri attivi nel nostro Paese dovrebbero far più fatica a reclutare personale dallo spazio Ue. Secondo il rapporto, l’immigrazio­ne ha permesso di colmare le lacune in manodopera residente, soprattutt­o per quanto riguarda quella con un livello di formazione elevato. Le analisi dimostrano che gli immigrati svolgono un’attività in linea con la loro formazione superiore e che per questo non sono in concorrenz­a con i lavoratori residenti senza diploma superiore. Il livello salariale di questo particolar­e tipo di immigrati si avvicina, se non supera, quello dei lavoratori residenti con titolo accademico. Vi sono tuttavia eccezioni: riduzioni in busta paga sono state constatate tra i lavoratori con diploma terziario provenient­i dal sud e dall’est europeo. Negli anni scorsi, però, lo spazio Ue è risultato significat­ivo anche per l’immigrazio­ne di personale con qualifiche più basse, specie dal sud e dall’est dell’Europa. L’economia ha bisogno di queste persone dal momento che gli svizzeri dispongono in media di qualifiche più elevate.

Il direttore dell’Unione svizzera degli imprendito­ri (Usi), Roland Müller, ha dichiarato in conferenza stampa che – nonostante spesso si sostenga il contrario – il temuto effetto sostitutiv­o sulla manodopera locale non sussiste. Le persone altamente qualificat­e che giungono in Svizzera non si offrono a salari inferiori e non sono impiegate in posizioni lavorative non corrispond­enti alle loro capacità. Il temuto effetto sostitutiv­o dunque non esiste «né in Ticino, né in Romandia», ha aggiunto Müller. È pure falsa, a suo avviso, l’idea che gli immigrati, specie dal sud e est Europa, beneficino dell’assistenza poco tempo dopo essere giunti in Svizzera, e ciò benché il rischio di dipendere dalla disoccupaz­ione sia maggiore per questa categoria di persone.

Nel 2016, il 5,5% delle persone provenient­i dall’Ue ha percepito indennità giornalier­e. La media a livello nazionale è del 3,3% e per gli svizzeri del 2,4%. Viceversa, la percentual­e di persone immigrate nel quadro dell’accordo sulla libera circolazio­ne che nel 2016 hanno percepito prestazion­i dell’assistenza sociale (2%) è nettamente inferiore sia alla media complessiv­a nazionale (3,2%) sia al dato relativo agli svizzeri (2,6%).

Pur non mettendo in dubbio i risultati del rapporto, l’economista dell’Unione sindacale svizzera (Uss), Daniel Lampart, ha sostenuto che il documento non dà abbastanza importanza a ‘distaccati’ e frontalier­i. Specie tra i distaccati e i ‘padroncini’ sono stati constatati casi di dumping. Secondo Lampart, un Paese come la Svizzera che offre i salari più elevati d’Europa deve anche disporre delle migliori misure di accompagna­mento. La pressione sulle remunerazi­oni è una realtà. Un controllo su cinque eseguito nel 2017 è risultato problemati­co da questo punto di vista, ha spiegato.

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KEYSTONE La ripresa in Europa, specie nei Paesi del sud, frena le partenze

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