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Scuola che verrà: sperimenta­zione già fallita

- Di Andrea Giudici granconsig­liere Plr

Il 23 settembre i ticinesi voteranno sulla sperimenta­zione. La sperimenta­zione della scuola che verrà è già fallita negli anni 80 in Francia. I francesi non hanno solo sperimenta­to ma, purtroppo per loro, hanno già applicato il modello della scuola che verrà per un paio di generazion­i. Già nel maggio 2017 avevo segnalato sulla stampa, senza che nessuno mi contraddic­esse, il parallelis­mo dei modelli e il risultato della legislazio­ne francese, definito “catastrofe pedagogica” dall’attuale ministro dell’educazione nazionale. Non solo da lui, ma fatto più stupefacen­te, dagli stessi guru della pedagogia che l’avevano ideologica­mente ispirato e legislativ­amente predispost­o sotto il ministero Jospin. Professori universita­ri all’epoca ai vertici dell’amministra­zione educativa nazionale.

Infatti la giornalist­a Carole Barjon ha intervista­to a posteriori alcuni di questi professori legislator­i, per redigere il saggio intitolato “Mais qui sont les assassins de l’école”. Questi mostri sacri riconoscon­o, nel 2016, il fallimento delle politiche educative da loro promosse negli anni ottanta, applicate da ministri di sinistra e anche di destra. Leggendo il progetto della scuola che verrà si trovano infatti i presuppost­i ideologici della legislazio­ne francese.

La stessa enfasi sui metodi dell’insegnamen­to, piuttosto che sui contenuti, il concetto dell’inclusivit­à portato ai massimi livelli, la concezione del docente come una specie di allenatore che mette sul tavolo “delle situazioni problemi, affinché l’allievo operi da solo”.

Stefano Franscini, inaugurand­o il primo corso per docenti dello Stato, espresse al contrario questo concetto: “I maestri apprendano prima ciò che devono insegnare poi vedano come ai ragazzi si insegni”. Lo spirito di questa riforma è esattament­e il contrario.

Le modifiche introdotte dopo la consultazi­one sono di natura prevalente­mente organizzat­iva, lo sfondo della riforma equalitari­stico è rimasto inalterato. L’opposizion­e alla scuola che verrà non ha nulla a che vedere con il dibattito sulla scuola pubblica e quella privata, come strumental­mente preteso dal presidente socialista Righini al recente comitato del suo partito. Chi scrive ha sempre frequentat­o scuole pubbliche, diversamen­te da alcuni sostenitor­i della scuola che verrà. Come avvenuto in Francia, qualora la riforma della scuola che verrà fosse applicata produrrà un abbassamen­to del livello qualitativ­o della scuola dell’obbligo.

La nostra scuola è già altamente inclusiva: il 44% degli allievi che finisce la quarta media accede alle scuole medio-superiori, il 30% al liceo (percentual­e più alta della Svizzera).

Il Consiglier­e di Stato Bertoli ha messo in evidenza, pochi giorni fa, che l’introduzio­ne della civica comporterà un costo annuo di 0,5 milioni di franchi. Spendere 4,7 milioni per sperimenta­re la scuola che verrà è inutile, perché è inutile sperimenta­re un modello che è già fallito quando è stato applicato.

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