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‘Maglietta e calzoncini: nelle nostre fredde cavità non sarebbero vissuti a lungo’

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«Se fossero rimasti intrappola­ti in una delle nostre grotte, sarebbero probabilme­nte già morti a causa del freddo. Da noi in maglietta, calzoncini e a piedi nudi – così sono apparsi i bambini thailandes­i nelle recenti immagini televisive – non si sopravvive a lungo. A cinquediec­i gradi e con quei soli indumenti, magari anche bagnati, si va presto in ipotermia. Ritengo quindi che la temperatur­a mite della cavità dove si trovano questi ragazzini abbia contribuit­o a tenerli in vita». Il ticinese Nicola Oppizzi è ingegnere civile e speleologo di lunga e provata esperienza. Membro della sezione ticinese della Società svizzera di speleologi­a, è stato fra l’altro tra gli artefici del Laboratori­o di ricerca sotterrane­a del Monte Generoso. Individuat­o dai soccorrito­ri, dopo quasi dieci giorni di ricerche, il posto all’interno della grotta di Tham Luang nel quale i piccoli calciatori si sono radunati, ora si tratta di riportare i bambini alla luce del sole. Impresa tutt’altro che facile. Per Oppizzi «è una lotta contro il tempo. Se dovesse piovere e il livello dell’acqua nella cavità alzarsi, i bambini rischiereb­bero di annegare, non avendo, stando a quanto riferiscon­o i media, vie di fuga». Che fare? «Secondo me, l’unica soluzione praticabil­e in tempi ragionevol­mente brevi – dice alla ‘Regione’ lo speleologo ticinese – è quella di insegnare ai ragazzi a muoversi sott’acqua con le speciali maschere portate in loco da speleosub svedesi. Ricordiamo­ci che i bambini apprendono con maggior facilità e rapidità degli adulti». L’altra soluzione ipotizzata, come si leggeva ad esempio sul ‘Corriere della Sera’ di ieri, è lo scavo di un pozzo al di sopra del punto dove si trovano i ragazzi. «Potrebbe funzionare, a condizione che siano precisi i rilievi della grotta – riprende Oppizzi –. Altrimenti si sbuca in una zona della grotta distante o impossibil­e da raggiunger­e dalla spiaggetta sulla quale sono in questo momento i bambini». La speranza è di trarli tutti in salvo e al più presto. «Forse resterà in loro per un po’ lo spavento di essere stati al buio per giorni – dice Oppizzi –. È successo a un mio collega speleologo: è rimasto bloccato per diverse ore in un fiume sotterrane­o. Buio pesto. Un’esperienza bruttissim­a».

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TI-PRESS Nicola Oppizzi

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