Un’estate per le linee rosse
Misure d’accompagnamento, il Consiglio federale coinvolge partner sociali e Cantoni Secondo il governo le misure anti-dumping non si toccano, ma se ne deve poter parlare. L’apparente contraddizione spiegata da Cassis e Balzaretti.
Sembra una contraddizione: il Consiglio federale da un lato conferma che le misure di accompagnamento alla libera circolazione sono una linea rossa nelle trattative con l’Ue per un accordo quadro istituzionale; dall’altro si appresta a consultare partner sociali e Cantoni per capire se sul piano interno esista un margine di manovra politico per modificare l’attuale forma – indigesta alla Commissione europea – dei meccanismi che in Svizzera proteggono i lavoratori dal dumping sociale e salariale. Nessuna contraddizione, ha affermato ieri il ministro degli Esteri Ignazio Cassis, accompagnato da Roberto Balzaretti, responsabile dei negoziati con Bruxelles. In una conferenza stampa a Berna, i due ticinesi hanno spiegato che la protezione dei salari «non è a disposizione» e che sin qui «non abbiamo ceduto di un millimetro», né si intende farlo in futuro, sulla regola degli 8 giorni (aziende europee che vogliono lavorare in Svizzera devono annunciarsi almeno 8 giorni prima) o su altre misure anti-dumping. Il capo della diplomazia elvetica aveva dichiarato di recente di essere pronto a fare un passo verso l’Ue su questo punto. Le sue parole hanno suscitato sconcerto tra i partner sociali e in diversi Cantoni, specie di frontiera (Ticino compreso, cfr. articolo a lato). I sindacati, in particolare, temono che la Svizzera non potrà più decidere autonomamente in questo ambito se un domani la Corte di giustizia europea (Cgue) verrà chiamata a decidere in caso di controversia. Non è un mistero per nessuno, ha detto Balzaretti, che l’Ue considera certe nostre misure sproporzionate, se non esagerate. Cassis ha spiegato che si tratta ora di discutere con le parti interessate in Svizzera su come sia possibile preservare la protezione dei nostri lavoratori con gli strumenti previsti dalla nuova direttiva Ue sui ‘distaccati’ (i lavoratori inviati in Svizzera a lavorare per 90 giorni al massimo). Con Bruxelles c’è accordo sui principi, ma sussistono divergenze in merito ai meccanismi di applicazione, ha aggiunto Balzaretti. Il Consiglio federale è del parere che la direttiva Ue vada nella giusta direzione, poiché prevede un rafforzamento della protezione salariale. Rimane però una differenza rispetto alle disposizioni elvetiche. È appunto di questo «delta» che – fedele a uno dei suoi mantra («La politica estera è politica interna») – il ministro degli Esteri e i suoi colleghi di governo vogliono ora discutere con i partner sociali e i Cantoni, avviando una «fase di politica interna» nella politica europea durante la quale verranno condivise con questi ultimi le analisi al riguardo svolte in seno all’amministrazione federale. Le discussioni ‘estive’ saranno guidate dal Dipartimento dell’economia (responsabile dell’applicazione delle misure collaterali) e coinvolgeranno, oltre al Dipartimento federale degli affari esteri, anche il Dipartimento di giustizia e polizia.
Tribunale arbitrale quasi in porto
Si delinea per contro un consenso circa la soluzione delle vertenze mediante il ricorso a un tribunale arbitrale. «La soluzione è quella che volevamo», ha sottolineato Cassis. «La soluzione – gli ha fatto eco Balzaretti – è migliore di quella tra Ue e Ucraina»: anzitutto perché sarà il tribunale arbitrale misto a decidere autonomamente se rivolgersi alla Cgue in caso di controversia riguardante il diritto europeo contenuto nei cinque accordi bilaterali ‘coperti’ dal futuro accordo quadro; in secondo luogo, perché le parti (Ue e Svizzera) non potranno direttamente chiamare in causa la Cgue. A fine agosto/inizio settembre il Consiglio federale farà nuovamente il punto sulle questioni aperte (anche su quella degli aiuti di Stato: a detta di Cassis anche qui sono stati fatti passi avanti). Il governo ribadisce la volontà di concludere in autunno, visto che «da novembre l’Ue sarà in modalità elettorale», come del resto la Svizzera dalla prossima primavera. Ma il rischio che vada tutto all’aria esiste: «Basta che non ci accordiamo su un punto e cade tutto: è una procedura tutto o niente», ha rilevato Cassis. Non siamo disposti – ha aggiunto – ad accettare qualsiasi accordo quadro, e la Svizzera certo sopravviverebbe anche senza: «Ma a quale prezzo?».