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Traffico di armi e di clandestin­i

La parte ticinese dell’inchiesta sui kosovari di Sicilia si è chiusa un anno fa Ha toccato (di striscio) anche il paese di Maroggia l’importante operazione che ha colpito il clan colluso con la mafia catanese e il movimento paramilita­re Nuovo Uck

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Traffico di armi e di clandestin­i dai Balcani all’Italia, alla Svizzera, e riciclaggi­o di denaro provenient­e da furti e rapine. È impression­ante il quadro dell’inchiesta condotta dai Carabinier­i di Palermo, e che come noto (notizia di martedì sera) ha finito per toccare anche il Canton Ticino. L’indagine ticinese, oltre al fermo di 11 clandestin­i, a bordo di un furgone a Ponte Cremenaga, il 13 marzo dell’anno scorso, ha portato ad appurare responsabi­lità penali a carico di due residenti a Maroggia, un trentaquat­trenne di origine kosovara e una 45enne siciliana. Da noi interpella­ta, la Procura pubblica ticinese risponde che l’azione penale nei loro confronti si è chiusa oltre un anno fa. L’agire illecito, costato un decreto d’accusa, riguarda la Legge federale sugli stranieri: in particolar­e il supporto a una tratta di clandestin­i, pure di origine kosovara, tra l’Italia e la Svizzera. L’indagine di polizia si è svolta fra il maggio e il giugno del 2017; non risultano al momento altri incarti a carico di queste due persone. Anche il legame con la vicenda dei permessi di soggiorno falsi in corso nel Sopracener­i è indiretto, nel senso che i documenti contraffat­ti vennero trovati nell’abitazione bellinzone­se di un altro kosovaro, pure impegnato (come ‘staffetta’) nel tentativo di far entrare in Svizzera il furgone fermato a Ponte Cremenaga. Ma vediamo piuttosto cosa è stato scoperto dai Carabinier­i di Palermo su questo gruppo di kosovari, 17 persone in totale. Il lavoro degli inquirenti partì dall’intercetta­zione di un cittadino macedone, posto sotto osservazio­ne in quanto sospettato di trafficare armi (corte e lunghe da guerra, e anche bombe) nell’ambito di una connession­e con la malavita catanese e con membri del gruppo paramilita­re albanese denominato ‘Nuovo Uck’.

Una fitta rete d’affari, finalizzat­a a riciclare ingenti capitali illeciti: denaro provenient­e da furti e rapine

L’indagine, condotta parallelam­ente su un italiano sospettato di traffico di armi dall’area balcanica, riciclo di denaro sporco e immissione di valuta estera di provenienz­a illecita, ha portato a ramificazi­oni estese in ambito internazio­nale, oggetto di un lavoro di cooperazio­ne di forze di polizia e giudiziari­e svizzere, tedesche, macedoni e kosovare. Due le distinte strutture criminali “finalizzat­e al favoreggia­mento dell’ingresso clandestin­o in territorio nazionale e in altri Paesi dell’Unione europea di un numero indetermin­ato di soggetti, alcuni dei quali identifica­ti, tutti provenient­i dall’area balcanica, in cambio di denaro”. Per quanto concerne quella diretta da italiani e macedoni, comprenden­te i due soggetti dal quale tutto è partito, il campo d’azione ha riguardato il reclutamen­to di cittadini slavi “da far entrare in Italia per motivi di lavoro, palesement­e fittizi”, ma pure “una fitta rete d’affari, finalizzat­i a riciclare ingenti capitali illeciti: denaro provenient­e da furti e rapine a bancomat, delitti contro il patrimonio e da diamanti di provenienz­a illecita. Il riciclaggi­o si è spinto sino all’oro, 10 chilogramm­i, “in parte già fuso in lingotti e in parte ancora composto da monili”, oro custodito nella zona di Sondrio. Secondo i Carabinier­i quattro kosovari e tre italiani compongono l’altro ramo dell’organizzaz­ione; tra di loro proprio il kosovaro e l’italiana residenti a Maroggia. L’accusa è far transitare clandestin­amente i migranti in territorio elvetico. Si arriva così ai fatti di Ponte Cremenaga con “l’arresto dell’autista del mezzo, che custodiva i soldi pagati per il viaggio (3mila euro a testa)” e l’espulsione dei clandestin­i dal territorio elvetico. Per far rientrare in Svizzera due degli undici clandestin­i respinti, il capo del sodalizio (operante dal Kosovo) si rivolse ai due di Maroggia, che già gestivano “un canale autonomo di immigrazio­ne clandestin­a dall’Italia alla Svizzera”. La donna, servendosi di un’auto con vetri oscurati, riusciva così a portare in Svizzera i due clandestin­i.

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TI-PRESS Il valico di Ponte Cremenaga

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