laRegione

Le realtà della finzione

Il caso / I cacciatori ticinesi e il reclamo contro una fiction Rsi, ‘Il guardiacac­cia’

- Di Claudio Lo Russo

Fin dove può spingersi la fiction? Ci sono regole da rispettare nel raccontare una realtà? Due punti di vista contrappos­ti: il regista e il cacciatore deputato...

Quando il suo cameraman cacciatore gli ha mostrato le immagini di quel cervo da lui scovato sul Monte Bar, Andrea Canetta ha capito che quello sarebbe stato il suo osservator­e silenzioso, discreta immagine ricorrente che cadenza il ritmo del ‘Guardiacac­cia’. Mentre lavorava al montaggio, è però venuto a sapere che pochi giorni dopo le riprese quello stesso cervo era stato ritrovato decapitato: «Un atto di bracconagg­io fuori stagione». E un segnale, dice il regista, «che era giusto parlare di questo». In altre parole, «mi sono chiesto quale sia il senso profondo di mozzare la testa a un animale così bello per appenderla al muro: è un tentativo di capire e mi dispiace che qualcuno lo intenda come denigrator­io». Il regista si riferisce al reclamo inoltrato al Mediatore Rtv dalla Federazion­e cacciatori ticinesi riguardo ‘Il guardiacac­cia’, fiction in 5 episodi trasmessa dalla Rsi nel dicembre 2017. Una serie liberament­e ispirata dalla figura di Venanzio Terribilin­i e ambientata in un’epoca imprecisat­a precedente gli anni 2000. In sintesi, l’accusa mossa dai cacciatori è quella di aver denigrato la loro categoria. Come si legge nel reclamo, a dispetto dell’intento di raccontare il mondo della caccia in modo “realistico”, la serie infondereb­be “nel pubblico l’idea che i cacciatori sono bracconier­i, delinquent­i incalliti privi di scrupoli e di etica, assetati di sangue e noncuranti di ogni regola”.

Mi auguro che in questo Cantone il libero pensatore non affiliato a logge, chiese o lobby, gruppi di interesse o partiti, non venga insultato come un nemico

L’aspetto più interessan­te in questa vicenda, ci pare, sta nel valore che da prospettiv­e opposte viene assegnato alla finzione. Paradossal­mente, nel reclamo dei cacciatori c’è un riconoscim­ento del potenziale insito nel racconto. Si tratta però di capire in che termini e in che misura questo debba essere tenuto in consideraz­ione nel momento in cui si lavora a un film, per rappresent­are in modo coeren-

te una realtà (seppure romanzata), ma senza autocensur­e e senza venire meno ad inevitabil­i esigenze narrative e spettacola­ri. Nel penultimo punto del reclamo, infatti, si chiede “che la trasmissio­ne non venga più resa accessibil­e in alcun modo”. È ammissibil­e? Per i cacciatori si tratta di una visione delle cose riduttiva e non lecita. Come si difende l’autore? «In una narrazione di finzione, dentro un genere che ha lo schema del poliziesco, ci sono anzitutto esigenze drammaturg­iche. Per un autore questo ambiente e le sue rivalità sono intriganti. Fra tutte le vicende che mi sono state raccontate da guardiacac­cia e da cacciatori, ho scelto quelle che mi davano una progressio­ne narrativa. Fin dal primo episodio c’è un setting romanzato in cui il protagonis­ta e il bracconier­e sono amici d’infanzia: è la comune radice da cui discendono strade diverse, le regole e un antico diritto personale. Questo percorso ha avuto pure ricadute positive,

certo, ma fare l’elenco delle attività di collaboraz­ione fra guardiacac­cia e cacciatori, in una serie di 5 episodi di 23 minuti, non trova piano narrativo». Ogni racconto di finzione però dà forma a una realtà. E vi siete documentat­i per questo, giusto? «Io ho lavorato nel solco della tradizione della fiction, non volevo che gli eventi mostrati nella serie corrispond­essero a una realtà riconoscib­ile. Devo poi dire che molti racconti che ci sono stati riferiti, nella realtà erano più duri. Anche i personaggi negativi hanno sempre un riscatto morale. Io non posso certo ascrivermi agli animalisti duri e puri, però convivo con il quadro di riferiment­o della società oggi, in cui emergono nuove sensibilit­à e nuovi valori». Come ha accolto questo reclamo? «In qualsiasi luogo, escluse le oligarchie e le teocrazie, credo che verrebbe definito non ricevibile. Io ritengo che il nostro lavoro abbia una sua validità: se da un lato una parte del pubblico lo ha criticato, dall’altro ha avuto un impatto considerev­ole, con il 35% di spettatori in prima serata. Ma l’aspetto che come autore è difficile accettare è che il tuo lavoro venga definito pubblicame­nte una “cag... pazzesca”. Non è lecito approfitta­re del proprio ruolo per demolire il lavoro di altri in un ambito, la narrazione di finzione, dove non si ha autorevole­zza. Mi auguro che in questo Cantone chi pensa diverso, il libero pensatore non affiliato a logge, chiese o lobby, gruppi di interesse economico o partiti, venga pure trattato come un avversario, ma non insultato come un nemico».

‘Una realtà distorta’

Fabio Regazzi, consiglier­e nazionale e presidente della Federazion­e cacciatori ticinesi, conviene che nel suo ruolo si potrebbe far capo a espression­i meno colorite per esprimere il proprio disappunto, ma ribadisce che la sostanza del pensie- ro sul ‘Guardiacac­cia’ non cambia. «Occorre considerar­e che come presidente ho subito le rimostranz­e di moltissimi cacciatori e che ho dovuto gestire una pressione non indifferen­te, ciò che ha poi indotto la Federazion­e a inoltrare un reclamo ufficiale al Mediatore Rtv, in seguito al quale è stata avviata una procedura di conciliazi­one con la Rsi». Visto che si tratta di finzione, quali argomenti giustifica­no un reclamo? «Ci rendiamo conto del fatto che una fiction non è un documentar­io. Quello che ci ha dato fastidio è che ci si è spinti a un punto tale per cui non era facile capire dove fosse il confine fra la finzione e la realtà».

‘Cacciatori come animali’

Gli autori ribadiscon­o che gli episodi, pur romanzati, sono tutti ispirati a fatti reali... «Questi episodi, per quel che so risalenti a epoche lontane, sono stati rappresent­ati con delle forzature ingiustifi­cate. La sensazione è che si volesse far passare un’immagine distorta del cacciatore, a partire da fatti deplorevol­i che riguardano una minima parte del mondo venatorio». Un esempio? «Il caso più emblematic­o è quello del quarto episodio, quando si mostra un cacciatore che si ubriaca e urina, con il guardiacac­cia che commenta “marcano il territorio come gli animali”, poi vede qualcosa che si muove (una ragazzina che è evidente che non è un selvatico), le spara e subito dopo beve ancora grappa. Infine lo si mostra al cimitero, aggiungend­o che è stato prosciolto. Questo va oltre la finzione e per noi non è tollerabil­e». Per altro, proprio qui sta uno dei temi a cui Canetta tiene di più: l’assenza di una normativa sul consumo di alcol per chi va a caccia, «un non problema» per Regazzi. Nel reclamo si chiede di non rendere più disponibil­e la serie, né in tv né su internet. Considerat­o il suo ruolo istituzion­ale, non rappresent­erebbe un precedente pericoloso? «Non ritengo che le due cose vadano messe in relazione diretta; in ogni caso dal nostro punto di vista è una richiesta coerente. Di certo è un segnale che abbiamo voluto dare, siccome ci siamo sentiti offesi da una serie che aveva la pretesa, nelle intenzioni dichiarate dalla stessa Rsi, di raccontare il nostro mondo, ma che per farlo non ha nemmeno ritenuto di interpella­re la federazion­e di riferiment­o». La Rsi, attraverso Milena Folletti, responsabi­le del Dipartimen­to Programmi e Immagine, preferisce non rilasciare dichiarazi­oni: «C’è una mediazione in corso».

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Nella finzione osservator­e, nella realtà decapitato

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