La paura di cadere non può precludere la gioia di volare
Se è vero che più in alto si vola, più ci si fa male quando si cade, beh, allora quel fastidio che ancora a 24 ore dall’eliminazione della Svizzera dai Mondiali attanaglia il nostro cuore (da giornalista, ma prima ancora da tifoso) in una morsa fatta di delusione, incomprensione, incredulità e un pizzico di rabbia, ci fa capire che effettivamente proprio con il cuore più che con la testa, eravamo volati tanto in alto. Forse troppo. Ma ci si può davvero dare una colpa per essersi fatti trascinare da un gruppo, quello guidato da Petkovic, capace di proseguire in una ormai consolidata (ma non scontata) tradizione di non mancare praticamente mai a un grande appuntamento dal 2004 (unica assenza a Euro 2012) e di farlo raccogliendo un successo dietro l’altro (quello di ieri è stato solo il secondo ko entro il 90’ nelle ultime 26 partite), alimentando un fuoco, quello dell’entusiasmo e della passione, che in fondo è ciò che muove ogni appassionato di sport? Sarebbe facile, ora, rispondere di sì e dire che i giocatori sono stati sbruffoni a sbandierare le loro ambizioni, mentre noi in fondo lo sapevamo che la Svizzera sarebbe sempre rimasta quello che – come la partita con gli scandinavi e in generale il percorso in Russia hanno dimostrato – è: una buona squadra composta da buoni giocatori che può giocarsela con chiunque, ma non è chiunque. Ma se il piede di Akanji sulla conclusione di Forsberg al posto che mandare il pallone alle spalle di Sommer, lo avesse spinto anche solo sul palo? O se Dzemaili, sullo 0-0, invece di sparare la sfera in tribuna l’avesse spedita nel sacco svedese? Se, insomma, Behrami e compagni, pur senza trascendere nel gioco, la partita di martedì l’avessero vinta volando per la prima volta dopo 64 anni ai quarti di finale, come sarebbero stati i sentimenti, le frasi nei bar, i titoli dei media, le dichiarazioni dei protagonisti? Tendenti all’epico, certo. E sarebbe stato giusto così, perché come detto lo sport vive di emozioni e come qualcuno ha scritto, “si può volare o si può cadere, ma non c’è felicità nel vivere un’intera vita con i piedi saldamente piantati in terra”. Per cui no, nessuna vergogna ad aver volato con questa Nazionale.