’Ndrangheta al nord, nuove condanne
Operazione Insubria, i giudici d’Appello milanesi ribadiscono l’impianto accusatorio
Una sentenza che conferma un’importante verità giudiziaria: il radicamento in Ticino della ’ndrangheta di cui si era avuta notizia negli ultimi mesi del 2015 con l’operazione Insubria (38 arresti nel Comasco e nel Lecchese), condotta dai carabinieri del Ros di Milano e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo lombardo. Ieri i giudici della seconda sezione della Corte d’Appello di Milano, dopo il rinvio del novembre scorso deciso dalla Cassazione per la riformulazione del dispositivo di condanna che tenesse presente le attenuanti generiche, hanno condannato una ventina di imputati a pene comprese fra i sei e gli otto anni. Condanne riformulate al ribasso rispetto a un precedente pronunciamento. Ciò che conta nella decisione dei giudici milanesi è il fatto che hanno ribadito l’impianto accusatorio passato al vaglio dei tre gradi di giudizio, per arrivare a cementare il convincimento giudiziario della presenza delle ’ndrine di Fino Mornasco e Cermenate con tentacoli in Ticino. Verità giudiziaria, confermata da fatti specifici, parte dei quali accaduta nel Mendrisiotto, che ha spazzato via quanto da tempo sostenuto da alcuni politici, secondo i quali la criminalità organizzata al nord non esisteva. Fra gli imputati che nel processo d’Appello bis hanno ottenuto lo sconto di pena c’è Michelangelo Chindamo, capo della ’ndrina di Fino Mornasco, condannato a 6 anni e 10 mesi, sei mesi in meno rispetto alla precedente sentenza. Chindamo, per conto di un imprenditore di Gudo, aveva cercato di estorcere 250mila euro a un commercialista di Chiasso e a un avvocato di Como. Chindamo era stato arrestato in dogana a Ponte Chiasso dove ad attenderlo c’erano i carabinieri, allertati dalla Polcantonale. Fra i diciotto imputati la cui condanna era già passata in giudicato nel novembre scorso c’è Giuseppe Puglisi, alias melangiana, capo della cosca di Cermenate, frontaliere saldatore a Bellinzona, che nel fine settimane era solito indossare la divisa della Croce Rossa del suo paese. Fra le attività illegali di Puglisi c’era quella di dirigere una sorta di agenzia recupero crediti. Per conto di un imprenditore comasco, attivo nel Mendrisiotto nel campo edile, aveva tentato di recuperare in Ticino un milione di euro da un luganese.