La ‘tempesta’ sull’enclave
Una serie di concause (dagli eventi congiunturali a respiro mondiale a una gestione della casa da gioco in forte calo di credibilità e incassi) sta facendo sprofondare Campione d’Italia nel baratro. Simboli del suo declino dipendenti comunali senza stipen
Quella che può essere definita ‘la tempesta perfetta’, che ha portato ad impattare, funestamente, condizioni congiunturali internazionali (dalla crisi del gioco d’azzardo al cambio franco-euro, all’apertura in Italia di sale di videolottery alla crisi economica) con una gestione del casinò in forte perdita (-11,95% nel primo semestre di quest’anno rispetto al 2017 negli incassi e del -15,47% negli ingressi), sta riversando sull’enclave un vero e proprio tsunami in grado di travolgere benessere e pace sociale. Vittime la popolazione residente e il centinaio di dipendenti comunali di Campione d’Italia confrontati con quasi mille giorni di ritardo nel versamento, da parte dell’amministrazione guidata dal sindaco Roberto Salmoiraghi, dei loro stipendi. «Cento famiglie, anche con minori – rimarcano i sindacalisti Marco Boffa e Roberto Ramanzina –, le cui preoccupazioni sono a mille. Pensiamo a chi ha una proprietà, a chi deve pagare le tasse o versare i contributi di cassa malati, assicurazioni, mutui per le case. Perché non stiamo parlando dell’avvenuta decurtazione di una parte dello stipendio, ma della totale mancanza della retribuzione, con la prospettiva di non sapere quando finirà... Se la procedura fallimentare forse avrà la sua conclusione a settembre, non possiamo avere certezze assolute circa il ‘modus operandi’ del commissario liquidatore, atteso in paese dopo la dichiarazione del dissesto finanziario del Comune. Si è aperto un nuovo scenario, ben più grave di un disequilibrio, le cui conseguenze potrebbero essere per noi molto pesanti».
‘Posizione d’attesa’
È, dunque, una ‘preoccupata posizione di attesa’ quella che stanno vivendo i dipendenti comunali campionesi, ancora senza tredicesima e stipendio da metà febbraio. «Nel nostro impegno sindacale abbiamo sempre mostrato massima collaborazione, comprendendo le difficoltà finanziarie dell’ente e manifestando sempre disponibilità in vista di soluzioni e accordi per la riduzione del costo del lavoro – non mancano di evidenziare la difficile situazione i nostri interlocutori – tant’è che vi sono i verbali della Prefettura che testimoniano qual è stato il percorso, fin da novembre. È stata l’amministrazione comunale ad averci messo sul tavolo un compromesso economico che, seppur rielaborato per dargli quei canoni di un accordo così da essere accettato dalla maggior parte dei lavoratori, eravamo pronti a sottoscrivere, facendo unicamente presente che stavamo rinunciando fin dal 2012 anche al salario accessorio, un istituto contrattuale nazionale, che garantiva un ulteriore risparmio sulla spesa complessiva del personale. Ma a marzo è stata l’amministrazione a interrompere le trattative. Da quel momento abbiamo sentito spesso, nelle dichiarazioni alla stampa, parlare di noi, ma nessuno che parlasse con noi!».
In guerra fra poveri?
In questa che può sembrare, oggi, una “guerra fra poveri” (Comune-casinò) a preoccupare i dipendenti municipali sono le decisioni prese recentemente dalla casa da gioco: «Si scopre che, come riferito dal sindaco in Consiglio comunale, un accordo sindacale salutato da tutti come salvifico per i posti di lavoro dei dipendenti della casa da gioco e in grado di liberare le risorse sufficienti a garantire una transizione non traumatica verso un assetto sostenibile dei costi del sistema, in realtà per un’errata quantificazione, in prima battuta, dei costi legati ai pensionamenti anticipati, oltre alla costituzione di un fondo rischio sul cambio, ha condotto al dissesto dell’ente stesso. E questo porta, come già detto, verso un nuovo scenario che spaventa, perché è chiara la consapevolezza che il dissesto di un ente pubblico configura un perimetro normativo all’interno del quale il commissario liquidatore potrebbe presentare un conto salato, non solo ai lavoratori dell’ente e della partecipata, ma anche, e soprattutto, alla comunità campionese». Un altro elemento di questa drammatica vicenda definito ‘scomodo’ riguarda l’essenza stessa dell’enclave: «Il
Comune di Campione ha ottenuto nel 1933 dallo Stato italiano, in virtù di una norma giuridica derogatoria al divieto del gioco d’azzardo, la possibilità di aprire una casa da gioco i cui ricavi concorrono alla formazione del bilancio del Comune stesso, permettendo l’erogazione di servizi e l’effettuazione di investimenti sul territorio che, diversamente, dato il particolare contesto geografico, non potrebbero
trovare copertura finanziaria. Si spiega così il benessere di tre generazioni di campionesi. Ma il manifestarsi della crisi del 2008, tuttora persistente, e la messa in campo di discutibili scelte strategiche e gestionali, hanno causato progressivamente un complesso ribaltamento della norma, chiamando paradossalmente proprio la comunità a finanziare il bilancio del casinò fino ad arrivare,
in nome della continuità aziendale, non solo ad interrompere, e speriamo solo momentaneamente, buona parte dei servizi comunali, quali la manutenzione del verde pubblico, la pulizia e la manutenzione degli uffici e degli immobili comunali, compreso il centro sportivo, ma a mettere anche in discussione la sopravvivenza dell’Azienda turistica e soprattutto della scuola dell’infanzia».